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Roma capoccia

Tradizioni > la canzone romana
Roma capoccia
di Venditti; 1972
Nel 1972 la trasmissione radiofonica "Supersonic", comincia a mandare in onda la ballata di uno sconosciuto cantautore romano, che lancia alla sua città un messaggio di rabbia e di affetto. "Roma capoccia" fu il brano che diede notorietà ad Antonello Venditti: il dialetto dava la giusta coloritura ai versi ed era usato in maniera non gratuita; la musica non era uno scarno accompagnamento al testo, come avveniva in quegli anni per la canzone d'autore, ma un vero e proprio arrangiamento orchestrale; la voce sanguigna e il modo di percuotere i tasti del piano, fecero il resto. la descrizione di ambienti e figure di una Roma popolare, non è mai priva di spunti critici e di invettive graffianti; la stessa "Roma capoccia" è una trasparente dichiarazione di amore-odio verso una città che contiene in sé il bene e il male del mondo, il vecchio e il nuovo, il sacro e il profano .
Quanto sei bella Roma quand'è sera,
Quando la luna se specchia dentro ar fontanone;
E le coppiette se ne vanno via, quanto sei bella Roma
Quando piove.
Quanto sei grande Roma quand'è er tramonto,
Quando l'arancia rosseggia ancora sui sette colli;
E le finestre so' tanti occhi che te sembrano dì:
Quanto sei bella.
Oggi me sembra che er tempo se sia fermato qui
Vedo la maestà del Colosseo,
Vedo la santità der Cuppolone,
E so' più vivo e so' più bbono
No nun te lasso mai Roma capoccia
Der mondo infame.
'Na carrozzella va co' du' stranieri,
Un robivecchi te chiede un pò de stracci,
Li passeracci sò usignoli,
Io ce sò nato Roma,
Io t'ho scoperta stamattina,
Io t'ho scoperta...
Oggi me sembra che er tempo se sia fermato qui.
Vedo la maestà del Colosseo,
Vedo la santità der Cuppolone,
E so' più vivo e so' più bbono
Io ce so' nato a Roma, Roma capoccia
Der mondo infame.
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