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Cola di Rienzo

Racconti > personaggi
Cola di Rienzo, il tribuno
particolare del Monumento a Cola di Rienzo
di  Girolamo Masini, 1887 Campidoglio
Monumento a Cola di Rienzo
di  Girolamo Masini, 1887 Campidoglio
Nicola (detto Cola) di Lorenzo (o Rienzo o Rienzi) nacque a Roma nel 1314, figlio di un oste, Lorenzo Gabrini, e di una lavandaia, Maddalena, sebbene la leggenda, da lui stesso alimentata, lasciasse credere d'essere figlio illegittimo dell'imperatore Enrico VII, Alla morte della madre, fu allevato da alcuni parenti ad Anagni, dove studiò lettere e latino, approfondendo la conoscenza degli autori classici, insieme alla storia dell'antica Roma e dei suoi monumenti. Alla morte del padre, Cola tornò a Roma, dove si diede agli studî e alla professione di notaio, ma l’attenzione dell’ambizioso giovane era già tesa all’impegno politico motivato dall’aspirazione a sottrarre la sua città dalla rovina in cui si era venuta a trovare nel periodo della cattività avignonese. Cola sentiva particolarmente il problema del riscatto sociale da parte degli artigiani e dei commercianti, che in più occasioni avevano cercato di scrollarsi di dosso l'oligarchia nobiliare, e utilizzando le ottime doti di oratore, cercò di fare da mediatore tra il popolo e il papato avignonese, nella speranza di poter ottenere il consenso di quest'ultimo contro le prevaricazioni nobiliari. In effetti i veri padroni della città non erano né i senatori né i legati pontifici, bensì gli sgherri dei nobili locali, le cui principali famiglie (Colonna, Orsini e Savelli) spadroneggiavano come volevano dopo il trasferimento della sede pontificia ad Avignone. Il commercio era scarso anche a causa del banditismo, spesso organizzato proprio dalle famiglie di nobili, che infestava le campagne. Convinto assertore del primato politico e culturale di Roma, Cola sognava di ripristinarne l'antica grandezza. Inviato in legazione presso Clemente VI ad Avignone nel 1343, lo invitò a rientrare a Roma e di liberare la popolazione dalle angherie dei ceti altolocati. Clemente VI lo nominò notaro (cioè segretario) della Camera Capitolina per informarlo sulle vicende della città, ma egli nel 1347, anche con l'appoggio di comuni e signori di Lazio, Umbria e Toscana, nonché di Francesco Petrarca, suo estimatore, ne approfittò per sollevare il popolo capitolino contro i nobili e formare un governo popolare di cui assunse la carica di tribuno, facendosi anche proclamare liberatore della città. L'iniziativa anche approvata dal Papa, che diede a Cola il titolo di Rettore di Roma in condivisione con il vicario pontificio Raimondo, vescovo di Orvieto. Era un grande sognatore idealista e ambizioso, ma forse il potere iniziò a dargli alla testa e si mise in mente di poter reinstaurare l'impero Romano, liberando le città italiane dal giogo degli imperatori tedeschi. Così, quando assunse l'altisonante qualifica di Candidatus Spiritus Sancti, di questo ne approfittarono i nobili romani (soprattutto i Colonna e gli Orsini), da lui scacciati qualche mese prima, per fomentare la rivolta contro il tribuno. Lo stesso Raimondo di Orvieto gli voltò le spalle, addirittura scomunicandolo. Cola dapprima si rifugiò a Castel Sant'Angelo e poi fuggì dalla città nel dicembre 1347. Tuttavia, poco tempo dopo si fece influenzare dalle visioni dell'eremita francescano spirituale Fra' Angelo, da lui conosciuto sulla Maiella, e si recò quindi a Praga nel 1350 a perorare la propria causa presso il re di Boemia (e futuro imperatore) Carlo IV. Carlo lo fece rinchiudere come eretico (o forse come squilibrato) e successivamente lo fece consegnare al Papa ad Avignone per essere giudicato. Qui Cola fu condannato a morte nel 1352, sentenza trasformata in carcere e quindi liberato per intercessione di Carlo IV, dell'arcivescovo stesso e di Francesco Petrarca. Nel 1353, il nuovo Papa Innocenzo VI lo inviò a Roma al seguito del Cardinale Albornoz che doveva preparare il terreno per il rientro del papa nella sede di Roma. Cola fu nominato senatore di Roma e rientrò come trionfatore nella città nell’agosto 1354, ma presto l'incantesimo si ruppe: in Cola il sentimento della grandezza, di Roma e sua propria, cominciò a sconfinare nel delirio. I suoi sogni di gloria mai sopiti ed una iniqua politica di tassazioni gli alienarono la popolarità e spinse alla rivolta il popolo romano; nell’ottobre 1354 la folla assaltò il Senato e Cola, abbandonato anche dal cardinale Albornoz, in quanto non più utile ai suoi scopi, venne trucidato mentre tentava la fuga. Il suo corpo, trascinato avanti alla chiesa di san Marcello, fu appeso per i piedi e dopo tre giorni fu bruciato. Per Cola di Rienzo, il percorso dalla gloria alla polvere s’era concluso: l’avventura del colto e ambizioso Tribuno era terminata nel sangue, ma l’avere espresso la necessità del passaggio dai concetti universalistici medievali di Impero e Chiesa verso ideali, più moderni, di un governo che avesse nel populus romanus (inteso come nazione italiana) il suo centro, e di una Chiesa realizzatrice di valori più spirituali, è stata da taluni storici intesa più creatrice di storia di quanto in realtà non sia stata.
© Sergio Natalizia - 2011
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