le sette chiese
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la visita alle Sette Chiese
Le basiliche patriarcali di San Pietro, San Paolo, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Lorenzo fuori le mura erano da sempre meta di continui pellegrinaggi; poi, ricordano le cronache medievali, iniziò la consuetudine di visitarle tutte insieme. A queste basiliche il fervore popolare volle aggiungere le basiliche di San Sebastiano e di Santa Croce in Gerusalemme, perché si trovavano, la prima, lungo la strada che andava da San Paolo a San Giovanni, la seconda, tra il Laterano e San Lorenzo e sembrava non opportuno passare davanti ad esse senza sostarvi in preghiera come nelle altre cinque basiliche, tanto più che nelle catacombe di San Sebastiano la tradizione voleva fossero stati sepolti i corpi di San Pietro e San Paolo ed in Santa Croce erano custodite le reliquie della Passione.
Occorre arrivare però alla seconda metà del Cinquecento perché questo tipo di devozione assumesse una dimensione di massa, grazie all'opera di San Filippo Neri che influì moltissimo nella crescita della dimensione spirituale nella vita quotidiana di gran parte dei fedeli capitolini. "Pippo bono" (come lo chiamavano allora i romani) era solito recarsi a visitare e pregare nei luoghi sacri della città, e a poco a poco spinse i suoi amici ad accompagnarlo in queste sue visite, che nel tempo, con il crescere del numero dei partecipanti, divennero un vero pellegrinaggio di popolo. La partecipazione infatti era massiccia anche perché in molti erano desiderosi di acquisire le indulgenze concesse per tale pellegrinaggio: si arrivava anche a 4.000 persone in una Roma che superava di poco i 30.000 abitanti. Il pellegrinaggio divenne consuetudine specialmente nel giorno di giovedì grasso, e costituiva il cosiddetto "Carnevale spirituale" in alternativa al Carnevale classico che spesso degenerava in risse e violenze.
La partenza avveniva generalmente la sera del mercoledì grasso dalla Chiesa Nuova, dove il corteo si radunava, e ci si dirigeva verso San Pietro, prima tappa del percorso. L'appuntamento era per il giorno successivo alla basilica di San Paolo, per la seconda visita e di qui si proseguiva per San Sebastiano lungo un percorso che a quei tempi era in aperta campagna. A San Sebastiano si celebrava la Messa e la maggior parte dei presenti prendeva parte alla comunione eucaristica. A questo punto si era soliti fare una sosta ricreativa che nei primi tempi aveva luogo in una proprietà della famiglia Crescenzi presso porta San Sebastiano, ma poi divenne consuetudine fermarsi in quella che oggi è villa Celimontana al Celio. Il pranzo era modesto, quasi penitenziale, ma con il passar degli anni acquistò una sempre maggiore importanza, tanto che, racconta il Belli, la sosta ricreativa, senza nulla togliere all'aspetto religioso e spirituale, costituiva una vera e propria festa, come viene ricordata tutt'ora in una epigrafe posta a villa Celimontana.
Il percorso poi proseguiva verso San Giovanni e da lì, dopo una sosta alla Scala Santa, si raggiungeva Santa Croce; poi attraverso porta Maggiore si giungeva a San Lorenzo. Durante tutto il percorso le preghiere ed i canti erano intervallati da pause per la meditazione; poi al tramonto si compiva l'ultima visita a Santa Maria Maggiore, che si concludeva in tarda serata.
Anche dopo la morte di San Filippo Neri, nel 1595, la visita alle Sette Chiese continuò, a cura della Congregazione dell'Oratorio, nella forma concepita dal santo per tutto il seicento e settecento; poi dall'inizio dell'ottocento questa devozione fu progressivamente abbandonata, anche se non se ne estinse la memoria, tanto che "annà pe le sette chiese" è rimasto un modo di dire popolare.
In seguito la consuetudine è anche rifiorita, ma non ha più avuto il carattere di partecipazione popolare, così come l'aveva voluta San Filippo Neri, ma è divenuto un fatto più personale di singoli o di piccoli gruppi di fedeli.
Antonio Lafréry -Le Sette Chiese di Roma 1575, incisione in rame, Roma, Istituto Nazionale per la Grafica
© Sergio Natalizia - 2009