la benedizione degli animali
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la benedizione degli animali
Ogni anno il 17 gennaio, davanti alla chiesa di Sant'Eusebio, all'angolo tra via Napoleone III e piazza Vittorio, si rinnova una tradizionale quanto curiosa funzione: quella della benedizione degli animali. Il rito è celebrato oggi in forma assai ridotta rispetto al passato e i partecipanti si sono ristretti ai soli animali domestici, come cani, gatti e canarini. Nei secoli scorsi, la cerimonia si svolgeva invece con grande sfarzo: gli animali da benedire erano numerosissimi e andavano dai buoi agli asini, dagli animali da cortile fino ai cavalli delle carrozze dei nobili. La benedizione, poi, aveva luogo in origine nella vicina chiesa di Sant'Antonio Abate, il santo protettore degli animali, e solo quest'ultimo secolo è stata dirottata, per motivi di traffico, a Sant'Eusebio.
La cerimonia, di grande attrazione per gli stranieri, si ripeteva spesso per diversi giorni e cominciava fin dalle prime ore del mattino del 17 con la sfilata di tutti i quadrupedi, tra due ali di folla, fino alla chiesa. Qui un sacerdote, munito di un grande aspersorio, spruzzava energicamente le bestie impartendo loro la benedizione. Fra le testimonianze scritte giunteci dell'avvenimento ci sono anche quelle di Goethe e di Andersen, mentre la scena è stata immortalata in una litografia di A.J.B. Thomas del 1823, in un acquerello di Bartolomeo Pinelli del 1831 e in un quadro del danese Wilhelm Mastrand del 1838. Naturalmente la benedizione richiedeva un'offerta da parte dei proprietari delle bestie alla chiesa di Sant'Antonio; essa andava da quelle in natura dei contadini a quelle cospicue in denaro dei nobili. Con una punta di ironia Goethe nel 1787 ricordava una nota dolente della festa: i cocchieri devoti portano ceri grandi e piccoli, "i padroni mandano elemosine e doni, con i quali i preziosi ed utili animali sono garantiti da ogni disgrazia". Il Belli non si lasciava sfuggire quest'ottima occasione per lanciare l'ennesima sferzata contro la chiesa, personificata in questo caso da "cuer pezzo de demonio de don Pangrazzio", che se aveva un gran daffare con il suo aspersorio, ancor più era impegnato a raccogliere le offerte. Il giro di interessi economici legato alla cerimonia divenne così rilevante da indurre i parroci di altre chiese a tentare di "farlo proprio", approfittando del fatto che alcuni nobili, elargendo lauti compensi, chiedevano funzioni riservate ai propri animali.
Ciò portò ad una concorrenza tra Sant'Antonio Abate e altre chiese romane per l'esclusiva sulla benedizione degli animali, tanto che nel 1831 il cardinale vicario dovette intervenire minacciando la sospensione a divinis per chi avesse compiuto il rito al di fuori della chiesa di Sant'Antonio.
La cerimonia, di grande attrazione per gli stranieri, si ripeteva spesso per diversi giorni e cominciava fin dalle prime ore del mattino del 17 con la sfilata di tutti i quadrupedi, tra due ali di folla, fino alla chiesa. Qui un sacerdote, munito di un grande aspersorio, spruzzava energicamente le bestie impartendo loro la benedizione. Fra le testimonianze scritte giunteci dell'avvenimento ci sono anche quelle di Goethe e di Andersen, mentre la scena è stata immortalata in una litografia di A.J.B. Thomas del 1823, in un acquerello di Bartolomeo Pinelli del 1831 e in un quadro del danese Wilhelm Mastrand del 1838. Naturalmente la benedizione richiedeva un'offerta da parte dei proprietari delle bestie alla chiesa di Sant'Antonio; essa andava da quelle in natura dei contadini a quelle cospicue in denaro dei nobili. Con una punta di ironia Goethe nel 1787 ricordava una nota dolente della festa: i cocchieri devoti portano ceri grandi e piccoli, "i padroni mandano elemosine e doni, con i quali i preziosi ed utili animali sono garantiti da ogni disgrazia". Il Belli non si lasciava sfuggire quest'ottima occasione per lanciare l'ennesima sferzata contro la chiesa, personificata in questo caso da "cuer pezzo de demonio de don Pangrazzio", che se aveva un gran daffare con il suo aspersorio, ancor più era impegnato a raccogliere le offerte. Il giro di interessi economici legato alla cerimonia divenne così rilevante da indurre i parroci di altre chiese a tentare di "farlo proprio", approfittando del fatto che alcuni nobili, elargendo lauti compensi, chiedevano funzioni riservate ai propri animali.
Ciò portò ad una concorrenza tra Sant'Antonio Abate e altre chiese romane per l'esclusiva sulla benedizione degli animali, tanto che nel 1831 il cardinale vicario dovette intervenire minacciando la sospensione a divinis per chi avesse compiuto il rito al di fuori della chiesa di Sant'Antonio.
Wilhelm Mastrand - La benedizione degli animali a Sant'Antonio Abate
Jean Baptiste Thomas - La benedizione degli animali a Sant'Antonio Abate
© Sergio Natalizia - 2010