così si dice a Roma
Proverbi e modi di dire che quindi risultano voce di un popolo dal carattere difficile, a volte riottoso e svelto di mano, ma sempre spontaneo e sincero, generoso e leale anche se di frequente si dimostra indifferente, amante dell'ozio e della presa in giro. Si tratta d'altronde di un temperamento derivante dalla convivenza, nel corso dei secoli, con la tirannia di un certo clero più dedito alla gestione del potere che alla cura delle anime. Il carattere dei romani è però anche eredità dei loro progenitori da cui avrebbero tratto il senso pratico, il coraggio, l'alterezza e la generosità. Il romano non sopporta soprusi, non serba rancore e non prova invidia ed è sempre pronto a mostrarsi fedele verso gli amici sinceri.
Qui proponiamo una selezione di proverbi e modi di dire romaneschi cercando di cogliere i più significativi, incisivi e anche i più divertenti.
a ciccio de sellero
Cosa capitata al momento giusto: il sellero (sedano) era un ortaggio abbastanza raro alla fine del cinquecento e veniva considerato un'autentica primizia
a dilla papale papale
Parlare senza peli sulla lingua, dimostrando autorità
agguantà cor sorcio in bocca
Cogliere qualcuno sul fatto
avecce le fregne, le madonne, le paturnie, le buggere
Essere nervosi a causa di qualcosa di negativo già occorso e che rende molto suscettibili e scontrosi
batte cassa
Testualmente chieder soldi, ma è usata per chi pretende la ragione , pur sapendo di aver torto
consolasse coll'ajetto
Cercare di consolarsi, dopo una delusione, con soluzioni di poco conto, come ricorrere a curarsi dalle malattie con l'aglio
de li du' litiganti er terzo gode
Fra due litiganti il terzo gode
e mo come te metti?
Viene detto a chi l'ha combinata grossa e si trova in uno stato di imbarazzo
fa' come l'antichi
E' un'espressione di cui solitamente si usa solo la prima metà, essendo per esteso: fa' come l'antichi, che magnaveno la còccia e buttaveno li fichi. Stando a questo detto, gli antichi erano soliti mangiare la buccia (o còccia, in romanesco), gettando via la parte più pregiata del frutto. Viene sempre riferita a chi fa le cose in modo strampalato o controproducente
morisse de pizzichi
Annnoiarsi mortalmente
pijà d'aceto, pijà cicoria
Andare in collera a seguito di osservazioni o rimproveri ritenuti ingiusti
restà come l'aretino Pietro
L'espressione per esteso è "restà come l'aretino Pietro: co 'na mano davanti e n'antra de dietro" ma in genere, dell'espressione si usa solo la prima metà, essendo il seguito fin troppo noto. Vuole indicare una situazione, in cui il soggetto a cui è riferita si ritrova preso tra due fuochi, o subisce danno in tutti i casi, sia che le cose vadano in un certo modo che nel modo opposto
sbatte le brocchette, le gnacchere
Avere freddo al punto di sbattere le ginocchia
a li tempi de Checco e Nina
Come ai tempi in cui si faceva tutto alla buona, senza pericoli nascosti
annà da Erode a Pilato
Andare da un punto all'altro o da persone diverse, senza concludere nulla di positivo
annà pe le fratte
Andare verso una situazione pericolosa
buttasse co le mano avanti pe nun cascà de dietro
Cercare di evitare un evento non gradito
cercà rogna
Andare in cerca di lite
chi magna da solo se strozza
Invito a dividere
chi nun mostra, nun venne
Invito a far vedere di cosa si è capaci
dissene un sacco e na sporta
Scambiarsi insulti senza misura
nun bisogna fermasse alla prima osteria
Non ci si deve scoraggiare al primo tentativo non riuscito
pagà a la romana
Ognuno deve pagare la propria quota
passà p'er vicolo der Vantaggio
Abbandonare i metodi corretti e darsi da fare con ogni mezzo per ottenere un utile immediato
passà ponte
Prendere una decisione, senza la possibilità di tornare indietro
predicà la fede in ghetto
Fare una fatica inutile
va cercanno Maria pe' Roma
Vuol dire cercare un ago in un pagliaio, ossia compiere una ricerca inutile e pertanto perdere tempo
brontolà come na pila de facioli
Lamentarsi di qualcosa in continuazione
chi è bella se vede, chi è bona se sa
La bellezza è evidente, la bontà non si sa
camminà coll'ojo santo in saccoccia
Essere prudenti in ogni cosa che si fa
esse de coccio
Modo di dire che indica una persona dura di comprendonio oppure ostinata in modo eccessivo
esse culo e camicia
Detto di due persone che vanno sempre di buon accordo
esse er fijo dell'oca bianca
Avere particolari privilegi rispetto a chi non ne ha
esse preso p'er culo
Essere preso in giro
esse er sordo der compare
er sordo che nun sente a prima voce, se vede che er discorso nun je piace
Sentire solo le cose che fanno comodo
lassa fa se fece arrubbà ‘a moje
Ad essere troppo remissivi, alla fine ci si perde sempre
le donne cianno er pianto in saccoccia
Le donne hanno sempre il modo di convincere
nun avè ne arte né parte
Non essere capace , non saper far niente
abbità ar vicolo der bovo
Abitare in vicolo del bove, come dire essere cornuti
annà in brodo de giuggiole
Non capire più nulla per la contentezza
bellezza nun trova porte chiuse
Le belle donne trovano sempre le porte aperte
chi cià le corna è l'urtimo a sapello
Chi è cornuto, è sempre l'ultimo a sapere del tradimento
chi vò la fija, accarezzi la mamma
Chi vuole conquistare una ragazza, si faccia amica la mamma
donna de quarant'anni buttela a fiume co' tutti li panni
Le donne dopo i quaranta anni iniziano a dare complicazioni
èsse come la sóra Camilla
Il modo di dire per esteso è: èsse come la sóra Camilla, che tutti la vònno e nisuno se la piglia (cioè "essere come la signora Camilla, che tutti vogliono ma che nessuno si prende") Questo motto si basa su un fatto storico: donna Camilla, sorella di Felice Peretti cioè Sisto V, ebbe diversi pretendenti, ma alla fine entrò in convento. Di qui l'espressione, che ironizza sulla vicenda, e che per traslato viene usata anche in altri contesti: per esempio, a chi riceve diverse proposte di lavoro ma non viene mai assunto
èsse cornuto e mazziato
Portare le corna ed esserne pure canzonato
l'amore nun è bello si nun è stuzzicarello
In amore qualche litigata ogni tanto ci vuole
la donna è come la castagna: bella de fora e drento la magagna
Attenzione alle belle donne, a volte riservano brutte sorprese
pianto de donna bella, trova subbito chi l'asciuga
Le belle donne fanno presto a riconsolarsi dopo una delusione o un dispiacere
restà a fa la carzetta a S. Anna
Rimanere zitella
si te preme er patrimonio lassa perde er matrimonio
Quando sono le mogli ad avere la cassa di casa
amichi e parenti, so' gran tormenti
Come dire che le più grandi preoccupazioni le portano gli amici ed i parenti
amico beneficato, nemico dichiarato
A prestar denaro all'amico ci si rimettono l'amico e i quattrini
amico certo, se riconosce in de l'incerto
Il vero amico si riconosce nei momenti difficili
chi nun vo' bene campa male
Chi non è capace di voler bene resta solo
chi te fa più de mamma, o te finge o t'inganna
Chi ti tratta meglio di tua madre, o finge o ti vuole fregare
chi te loda in faccia, te dice male dedietro a le spalle
Chi ti loda apertamente ti dice male dietro alle spalle
è mejo esse invidiati che compatiti
Attenzione agli atteggiamenti ipocriti
l'amico bottegaro te fa er prezzo sempre più caro
Non sempre si fanno buoni affari con gli amici
li fatti de la pila li sa er coperchio
Ognuno sa i fatti di casa propria
ognuno è papa drento casa sua
Ognuno comanda in casa propria
promesse e parenti fanno li vermi
Promesse e parenti, presto o tardi, diventano un fastidio
si fai come er prete che pensi a te solo, gnisuno troverai che t'ami
Non bisogna pensare solo a se stessi altrimenti prima o poi si rimane soli
si la socera la vò allesso, la nora la vò arosto
Quasi mai suocera e nuora vanno d'accordo
a quattro cose nun portate fede: sole d’inverno, nuvole d’estate, pianto de donna, carità de frate
Non bisogna mai fidarsi delle cose che non durano
a Roma pe' fa fortuna ce vonno tre d, donne, denari e diavolo che te porti
Le chiavi per arrivare al successo
cent'anni de pianti, nun pagheno un sordo de debiti
E' inutile lamentarsi sempre, è meglio agire subito
chi mena pe' primo mena du' vorte
La miglior difesa è sempre l'attacco
chi nun suda da giovine, digiuna da vecchio
Chi fatica in gioventù, gode in vecchiaia
d’una bella scarpa ce resta sempre una bella ciavatta
Anche le belle donne prima o poi invecchiano
fra Modesto nun fu mai Priore
L'eccessiva modestia alla fine penalizza sempre
Ignuno pensi a li fattacci sua
Non bisogna impicciarsi degli affari degli altri
l'ora de oggi, nun è quella de domani
Bisogna affrontare i problemi subito e non rimandarne la soluzione al domani
nun me dite er vero che me s’addrizza er pelo
Quando la verità fa male, è preferibile non conoscerla
se magna pè campà, no' pe' crepà
Non si può sempre rinunciare alle cose che piacciono
voja de lavorà sarteme addosso
E' il rimprovero per gli oziosi e i nullafacenti, cui segue spesso "e tu pigrizzia nu' m'abbandonà e famme lavorà meno che posso"
a Roma Iddio nun è trino, ma quattrino
Come dire che il dio che conta di più a Roma non è la SS. Trinità ma il denaro
a sapè fa la scena, quarche cosa se ruspa
A fingere di saperci fare, qualcosa si guadagna di sicuro
affari de cipolla e bieta
Affari che non portano nessun tornaconto
co sti chiari de luna
Riferito ad un periodo di ristrettezze economiche
li guadagni de Maria Cazzetta
Maria Cazzetta è un personaggio ipotetico, il cui nome dispregiativo è un evidente segno di scherno: l'espressione viene usata per bollare un affare solo in apparenza vantaggioso, ma che in realtà non lo è affatto
li quatrini so’ come i dolori: chi ce l’ha se li tiè
Nessun ricco è mai troppo generoso
nun c'è sta trippa pe' gatti
Espressione che equivale a "non c'è niente da dare". Il modo di dire risale ai primi del '900, allorché il sindaco Nathan cancellò dal bilancio del Comune l'acquisto di trippa destinata a sfamare i gatti, utilizzati tenere lontani i topi dal Campidoglio. A fronte dei scarsi risultati del provvedimento, la spesa venne annullata e sul libro del Bilancio Comunale venne scritto: "Non c'è trippa per gatti"
quanno le saccocce piagneno, le scarpe rideno
Quando non si hanno soldi, si portano scarpe bucate
quello che viè cor finfirinfì, se ne va cor fanfaranfà
Tutto ciò che si guadagna in poco tempo e senza fatica, se ne va altrettanto velocemente
Regalà è morto e Donato sta ppe' morì
Regalato è morto e Donato sta per morire ovvero, nessuno ti regala nulla, se vuoi qualcosa devi guadagnartela
ricchezza e carità so du' persone
Il ricco difficilmente è caritatevole
tre pigne e 'na tenaja
Espressione che equivale ad essere tirchi, persona cui rimane difficile far sborsare denaro
ar monno c'è sta sempre chi magna l'osso e chi la porpa
Esistono sempre disparità tra le persone
chi amministra, amminestra
Chi ha il potere, dispone le cose come meglio crede
chi cià quatrini nun va mai carcerato
Chi ha denaro non va mai in carcere
chi cià è, chi nun cià, nun è
Chi ha disponibilità conta molto, chi non ha conta poco
chi s'inchina troppo, mette in mostra er culo
Chi accetta tutti i compromessi, prima o poi perde la faccia
Cristo nun paga er sabbito, ma la domenica nun j'avanza gnente gnisuno
Nostro Signore, prima o poi, regola i conti con tutti
in sta valle de lagrime, quarcuno ce piagne bene
Anche nelle situazioni difficili, c'è qualcuno che se la passa bene
l'inferno è stato inventato p'er poveromo
li diavoli che nun se trovano all'inferno, stanno a Roma
Per i poveracci spesso la vita di tutti i giorni è un'inferno
la luna nun abbada all'abbaji der cane
li confetti nun sò pe' li somari
li raji der somaro nun ariveno in celo
Se non sei nessuno, nessuno ti ascolta
li parenti der papa, diventeno presto cardinali
Chi ha appoggi in alto, è più facile che faccia carriera
quanno er diavolo te lecca, è segno che vò l'anima
Il potere è come il diavolo, quando adula qualcuno vuole qualcosa in cambio
tutti nun potemo diventà papa
Per comandare c'è chi è predestinato e chi no
beata quella casa che cià la chirca rasa
chi a Roma vò godè s’ha da fa frate
Chi si vuole divertire a Roma deve farsi prete; i due proverbi evidenziano la convinzione di quanti pensavano che a Roma il clero non avesse le preoccupazioni della povera gente
chi vò imparà a magnà, dalli preti bisogna che va
c'è chi è tutto de Cristo for che l'animaSi dice che preti e rappresentanti del clero siano dei buon gustai
C'è chi in apparenza è devoto ma non lo è nella pratica
er mejo posto è sempre quello del prete
La migliore professione è sempre quella del prete
er papa dice ar popolo "digiuna" perchè lui ce l'ha la panza piena
piove o nun piove, er papa magna
Il papa non soffre mai la fame
er papa quanno cià bisogno de quatrini, popola er celo
Il papa quando ha bisogno di denaro, nomina nuovi santi
fa quer che prete dice e non quer che er prete fa
Il clero spesso non è esempio di virtù
la corte romana nun vo' pecore senza lana
Relativo alla cupidigia di un certo clero
Roma è 'na città devota: 'gni strada un convento, 'gni casa 'na mignotta
Il detto corrisponde al fatto che nella seconda metà del XVI secolo Roma aveva circa 60.000 abitanti. Di essi, circa 20.000 facevano parte del clero e le prostitute censite erano circa 7.000. La ragione di una così alta densità di queste professioniste nella città dei papi stava nel fatto che Roma era piena di celibi, di uomini in attesa di essere avviati alla carriera ecclesiastica: le "donne di piacere" trovavano qui grande mercato e affluivano da ogni parte d'Europa, attirate dal lusso e dal denaro che scorreva copioso in alcuni ambienti della società romana
Roma veduta, religione perduta
Chi sta lontano da Roma, sta più vicino a Dio
Quanno a Roma ce s'è posto er piede, resta la rabbia e se ne va la fede
I comportamenti di certa parte del clero spesso allontanano dalla fede
Sta scritto su la porta der curato: chi s'empiccia mor'ammazzato
Non bisognava mai impicciarsi degli affari dei preti, per non rischiare di fare una brutta fine
annà all'arberi pizzuti
annà a fa' terra pe ceci
annà a ingrossà le cucuzze
stirà le cianche
annàssene all'antri carzoni
Se il romanesco si preoccupa di non menzionare la malattia, figuriamoci quando è l'ora di fare i conti con la commare secca (ovvero la morte): le perifrasi sono ancora più numerose e variopinte Fra quelle usate ancora oggi c'è "l'andare agli alberi pizzuti" cioè "ai cipressi" (albero notoriamente cimiteriale). Ma anche "l'andare a far terra per i ceci", o a far a concime alle zucche testimonia come persino di fronte agli eventi più ineluttabili il romano non rinuncia mai ad assumere una posizione distaccata e beffarda. E l'espressione "stirà (cioè distendere) le cianche (gambe)" ne è un ulteriore esempio. Il quinto modo di dire, divenuto abbastanza infrequente, si trova nei testi di Giggi Zanazzo, e probabilmente si riferisce all'uso di vestire la salma col "vestito bbòno", quindi anche con un paio di calzoni che in vita non indossava spesso
anni e bicchier de vino nun se conteno mai
In vecchiaia bisogna sapersi accontentare e consolare
chi cià la moje bella sempre canta, chi cià pochi quatrini sempre conta
Diversi destini
chi more giace, chi vive se dà pace
Dopo un lutto ci si deve consolare presto
doppo li quaranta, nun se fischia e nun se canta: doppo la cinquantina, un malanno ogni matina
Con l'avanzare degli anni, si manifestano gli "acciacchi" con sempre maggiore frequenza
er demonio nun 'è poi brutto quanto se dipigne
Non tutto il male viene sempre per nuocere
in gioventù ar casino, in vecchiaia Cristo e vino
Da giovani si pensa a far baldoria, in vecchiaia ci si riavvicina alla religione e ci si consola con il vino
l'urtima che more è la speranza
Mai dire mai, bisogna sperare fino all'ultimo
morto 'n papa se ne un antro
Nessuno è indispensabile e a tutto c'e rimedio
e bonanotte ar secchio
avemo chiuso le messe a S. Gregorio
Essere giunti a conclusione