per Monti e Trevi
le mie passeggiate
per Monti e Trevi
un belvedere sulla storia
un belvedere sulla storia
con Santina, Bruno e Maria Grazia, Pio e Annalucia, Carlo e Maria
14 dicembre 2008
Questa passeggiata attraversa parte di Monti, uno dei rioni che ha mantenuto tutte quelle caratteristiche che danno a Roma un fascino unico al mondo, per poi passare per il rione Trevi, con la zona del Quirinale, con i suoi palazzi e la sua terrazza sulla città, fino a terminare in uno dei siti più significativi della città: Fontana di Trevi.
i rioni Monti e Trevi
Monti è il quartiere più antico di Roma e vi si trovano testimonianze dell'epoca romana, medioevale, rinascimentale, barocca: una successione di stili che copre 2500 anni di storia. Il suo nome deriva dal fatto che comprendeva i colli Esquilino, Viminale, parte del Quirinale e del Celio. Oggi il Quirinale, l'Esquilino ed il Celio non gli appartengono più, ma il nome è rimasto. Nella Roma antica la zona era densamente popolata: c'erano i fori imperiali e la cosiddetta Subura, oggi detta Suburra, dove vivevano i plebei, dove c'erano i lupanari e le locande più malfamate. Nel Medioevo la situazione era ben diversa: gli acquedotti romani erano stati danneggiati ed era difficile farci arrivare l'acqua a causa del terreno collinare; per questo gli abitanti tendevano a trasferirsi nel Campo Marzio, zona pianeggiante a valle dei colli. L’unico fattore che fece sì che la zona non diventasse totalmente disabitata era la presenza della basilica di San Giovanni in Laterano: il continuo afflusso di pellegrini garantiva sempre un cospicuo numero di persone sul territorio. Gli abitanti di Monti, detti monticiani, svilupparono una loro forte identità, addirittura il loro dialetto romano era lievemente diverso da quello degli altri rioni e sussisteva una rivalità tra gli abitanti dell'altro rione con una altrettanto forte identità, Trastevere, che spesso si concretizzava in scontri cruenti tra gli abitanti dei due rioni. Successivamente, lo sviluppo urbanistico di fine ottocento, con Roma divenuta capitale, e i grandi sventramenti del periodo fascista cambiarono completamente il volto del rione. In particolare, tra il 1924 e il 1936 un'ampia porzione del rione fatta da tante stradine e case popolari è stata distrutta per costruire via dei Fori Imperiali e portare alla luce i resti dei fori. Ma una grande parte del rione ancora conserva i suoi scorci più segreti, i negozietti, i banchi degli artigiani: tutto quello che fa di Monti un quartiere romano irripetibile, quasi un piccolo paese immerso nella grande città, all'interno della quale mantiene però la sua identità di luogo sospeso tra passato e presente, di centro di cultura e di tradizioni.
Quanto al rione Trevi, molti pensano che il suo nome derivi dalla presenza della fontana più famosa del mondo, ma non è così: il nome deriva probabilmente dal termine latino trivium, che stava ad indicare la confluenza di tre vie. Sin dal periodo romano la zona era divisa in due parti principali: quella bassa, pianeggiante e vicino al fiume, e quella alta, collinare e quindi rialzata. La prima era centro di attività cittadine, mentre la seconda rimase essenzialmente una ricca zona residenziale. Dopo la caduta dell'impero la zona collinare si andò spopolando mentre la popolazione tendeva a concentrarsi nella zona a valle. L’evoluzione urbana seguì quella demografica: le costruzioni erano numerose nei pressi del Tevere mentre non si costruì praticamente nulla nella zona collinare fino ai fasti del Rinascimento. Nel XVII secolo l'urbanizzazione, la costruzione di strade, chiese e fontane determinò il fatto che tutto il rione Trevi fosse densamente popolato, e il suo aspetto rimase essenzialmente inalterato fino alla fine del XIX secolo. Con la trasformazione della zona del Quirinale in un centro di potere, ospitando dapprima numerosi palazzi rappresentativi della potenza papale, poi quelli di capitale del Regno d’Italia, si trasformò la parte collinare del rione, che allora era una zona ricca di viottoli, di chiese e di palazzi monumentali. Nel giro di pochi decenni mutò completamente il volto di uno degli angoli più romantici della città: il rione perse gradualmente il fascino popolare originario, che si è mantenuto solo in alcune parti intorno a Fontana di Trevi. Troppo poco, forse, per ricordare la Roma del passato, ma ancora sufficiente per avvertirne l’incredibile bellezza.
Quanto al rione Trevi, molti pensano che il suo nome derivi dalla presenza della fontana più famosa del mondo, ma non è così: il nome deriva probabilmente dal termine latino trivium, che stava ad indicare la confluenza di tre vie. Sin dal periodo romano la zona era divisa in due parti principali: quella bassa, pianeggiante e vicino al fiume, e quella alta, collinare e quindi rialzata. La prima era centro di attività cittadine, mentre la seconda rimase essenzialmente una ricca zona residenziale. Dopo la caduta dell'impero la zona collinare si andò spopolando mentre la popolazione tendeva a concentrarsi nella zona a valle. L’evoluzione urbana seguì quella demografica: le costruzioni erano numerose nei pressi del Tevere mentre non si costruì praticamente nulla nella zona collinare fino ai fasti del Rinascimento. Nel XVII secolo l'urbanizzazione, la costruzione di strade, chiese e fontane determinò il fatto che tutto il rione Trevi fosse densamente popolato, e il suo aspetto rimase essenzialmente inalterato fino alla fine del XIX secolo. Con la trasformazione della zona del Quirinale in un centro di potere, ospitando dapprima numerosi palazzi rappresentativi della potenza papale, poi quelli di capitale del Regno d’Italia, si trasformò la parte collinare del rione, che allora era una zona ricca di viottoli, di chiese e di palazzi monumentali. Nel giro di pochi decenni mutò completamente il volto di uno degli angoli più romantici della città: il rione perse gradualmente il fascino popolare originario, che si è mantenuto solo in alcune parti intorno a Fontana di Trevi. Troppo poco, forse, per ricordare la Roma del passato, ma ancora sufficiente per avvertirne l’incredibile bellezza.
via Panisperna
La passeggiata inizia lasciando piazza dell’Esquilino e dopo aver percorso via di Santa Maria Maggiore si imbocca via Panisperna. Il toponimo della strada deriva da Parasperna, cioè separazione di confine tra proprietà importanti e limitrofe, ma è antica tradizione popolare che tale nome derivi dalla consuetudine che i frati di San Lorenzo distribuissero ai poveri, il giorno della festa del Santo, pane e prosciutto (in latino panis et perna).
La chiesa di San Lorenzo in Panisperna sorge sul luogo dove il santo durante le persecuzioni di Valeriano, subì il martirio della graticola. Secondo la leggenda questo luogo sacro fu fondato all'epoca di Costantino, ma in realtà la struttura risale, almeno nelle forme odierne, al 1576. La facciata è opera di Francesco da Volterra: ripartita in due ordini, è scandita da paraste e chiusa da un piccolo timpano, al di sotto del quale è situato un grande occhio. L'interno, a navata unica, ospita sepolture illustri come quelle degli Orsini e dei Colonna; sul muro di fondo nel presbiterio vi è il cinquecentesco affresco di Pasquale Cati, il Martirio di San Lorenzo, mentre sulla volta vi è un altro affresco raffigurante la Gloria di San Lorenzo, di Antonio Bicchierai. Il portale esterno della chiesa fu restaurato alla fine del 1800, fu Leone XIII a commissionarlo, insieme alla doppia rampa di scale, che accompagna il visitatore nel cortile dove è celato ciò che rimane di una casa medievale, con scale esterne. Nel presbiterio è invece collocato un dipinto di grande effetto, in cui è rappresentato il martirio del santo a cui è dedicata la chiesa.
Al civico 205-207 è situato il palazzo Falletti, anche questo settecentesco, con un bel portone ornato da ghirlande ed un cortile ornato con una fontana inserita in una nicchia affiancata da due statue di satiro. Di fronte è situata una casa costruita ai primi del Settecento per l'Arciconfraternita dei Carpentieri, come indica anche lo stemma apposto sopra il portale di ingresso. In questo edificio ebbe sede, prima di trasferirsi nella Città Universitaria, l'Istituto di Fisica dell'Università di Roma, dove i “ragazzi di via Panisperna” Enrico Fermi, Edoardo Amaldi, Emilio Segre, Bruno Pontecorvo, Ettore Majorana ed altri, nell'ottobre 1934, scoprirono la radioattività, ponendo le basi della moderna fisica nucleare.
via dei Serpenti e piazza Madonna ai Monti
Si giunge all’incrocio con via dei Serpenti che ci introduce nel cuore del rione Monti. Nel XVII secolo la strada si chiamava Corso dei Monti, ma in seguito mutò nome. Alcuni ritengono che la toponomastica derivi dalla presenza di un'edicola mariana in cui si raffigura la Vergine che colpiva il rettile, altri ritengono che derivi dalla scoperta di un nido di serpenti.
Al civico 2 morì il santo più popolare del rione Monti: San Benedetto Giuseppe Labre, detto il “santo dei pidocchi” perché nella sua condizione di mendicante ne era infestato ma non se ne liberava considerandoli “creature di Dio”. La stanza ove il santo morì fu trasformata in oratorio , nel quale si conservano reliquie ed oggetti appartenuti al santo.
Nel tratto finale della strada incontriamo la chiesa della Madonna dei Monti. In origine sul posto sorgeva un fienile dove fu ritrovata l'immagine della Vergine a cui si attribuiscono svariati miracoli. Sulla base di questi eventi il papa Gregorio XIII verso la fine del Cinquecento decise di far costruire la chiesa della Madonna dei Monti: la chiesa rappresenta una delle chiese più significative del periodo a cavallo tra il Rinascimento e il Barocco ed è probabilmente il capolavoro di Giacomo Della Porta. Sull'altare maggiore è posto il dipinto della Madonna, protettrice del rione Monti. L'altare nel transetto di sinistra custodisce la tomba e l'effigie di Giuseppe Labre, il santo francescano che trascorse la sua vita e morì, mendicando, vicino alla chiesa. Di notevole pregio è infine la splendida cupola. A fianco della chiesa, secondo un disegno irregolare si estende piazza della Madonna dei Monti al cui centro è posta una fontana cinquecentesca commissionata da papa Sisto V a Giacomo Della Porta nel 1588 ed eseguita dallo scalpellino Battista Rusconi; sui fianchi del bacino si alternano lo stemma papale a quelli del popolo romano. Al centro della vasca, due coppe sovrapposte, concentriche; la più bassa getta zampilli d'acqua da quattro mascheroni.
Al civico 2 morì il santo più popolare del rione Monti: San Benedetto Giuseppe Labre, detto il “santo dei pidocchi” perché nella sua condizione di mendicante ne era infestato ma non se ne liberava considerandoli “creature di Dio”. La stanza ove il santo morì fu trasformata in oratorio , nel quale si conservano reliquie ed oggetti appartenuti al santo.
Nel tratto finale della strada incontriamo la chiesa della Madonna dei Monti. In origine sul posto sorgeva un fienile dove fu ritrovata l'immagine della Vergine a cui si attribuiscono svariati miracoli. Sulla base di questi eventi il papa Gregorio XIII verso la fine del Cinquecento decise di far costruire la chiesa della Madonna dei Monti: la chiesa rappresenta una delle chiese più significative del periodo a cavallo tra il Rinascimento e il Barocco ed è probabilmente il capolavoro di Giacomo Della Porta. Sull'altare maggiore è posto il dipinto della Madonna, protettrice del rione Monti. L'altare nel transetto di sinistra custodisce la tomba e l'effigie di Giuseppe Labre, il santo francescano che trascorse la sua vita e morì, mendicando, vicino alla chiesa. Di notevole pregio è infine la splendida cupola. A fianco della chiesa, secondo un disegno irregolare si estende piazza della Madonna dei Monti al cui centro è posta una fontana cinquecentesca commissionata da papa Sisto V a Giacomo Della Porta nel 1588 ed eseguita dallo scalpellino Battista Rusconi; sui fianchi del bacino si alternano lo stemma papale a quelli del popolo romano. Al centro della vasca, due coppe sovrapposte, concentriche; la più bassa getta zampilli d'acqua da quattro mascheroni.
via Baccina e via Tor de' Conti
Sulla destra si prende via Baccina che conserva ancora tutto l’aspetto settecentesco: prende il nome dalla famiglia Baccini che qui possedeva molte proprietà. Al n° 32 vi è una lapide che ricorda che qui visse Ettore Petrolini, il grande attore e commediografo romano. Al 58 troviamo l’oratorio della SS. Vergine Addolorata, eretto all’inizio dell’ottocento ed in cui si radunava l’omonima confraternita. Un’edicola mariana, la Madonna del Buon Cuore, del tardo cinquecento molto venerata in quanto dispensatrice di grazie chiude via Baccina all’angolo con via Tor dei Conti. Questa via prende il nome dall’omonima torre che si trova a largo Ricci e si snoda lungo mura che si affacciano sui fori di Augusto e di Nerva. Addossata a questi muri vi è una antichissima chiesa, SS. Annunziata, un tempo dedicata a San Basilio, ed oggi quasi completamente distrutta. I suoi resti sono le due bifore ed il portale sottostante tardo rinascimentale. Questa porta fa un effetto surreale in quanto addossata alle mura e non conduce in nessun luogo. L’Arco dei Pantani è una fornice del Foro di Augusto: era la via di comunicazione più battuta tra i Fori e la Suburra; il nome è dovuto ai frequenti allagamenti, soprattutto nel medioevo, quando il sistema di fognature dell’antica Roma era stato compromesso, dato che questo è uno dei luoghi più bassi della città (13 m. sotto il livello del mare). Oggi l’Arco serve da belvedere sulla zona dei Fori di Augusto e di Nerva.
piazza e salita Del Grillo
La strada e la piazza prendono il nome dalla Famiglia Capranica del Grillo. Nel XVII secolo i titoli ed i possedimenti dei Marchesi Cavalieri e dei Marchesi del Grillo passarono alla famiglia Capranica, da cui il nome di Marchesi Capranica del Grillo. Il palazzo del Grillo, situato nella piazza omonima, è una dimora seicentesca costituita da una facciata e due avancorpi laterali: quello di sinistra, collegato alla facciata tramite un sovrappasso ad arco detto "dei Conti", presenta cinque piani e ingloba l'antica torre medioevale, interamente conservata, mentre quello di destra presenta tre piani. La Torre del Grillo, detta anche torre "della Miliziola", per distinguerla dalla vicina e più grande torre delle Milizie, fu edificata nel 1223 come proprietà dei Carboni, poi dei Conti, finchè nel 1675 fu acquistata dai del Grillo che la ristrutturarono nel contesto del palazzo. Il palazzo rimane legato nella memoria dei romani al Marchese del Grillo, anche se tutte le notizie sono state tramandate senza averci fornito il nome preciso, nè la data precisa della nascita nè sotto quale papa sia avvenuta la sua morte. Sappiamo soltanto che si divertiva a sconvolgere con le sue beffe il quieto vivere di Roma, beffe spesso ai danni di gente potente o privilegiata, oppure verso gli ebrei, verso i quali il Marchese nutriva una spiccata antipatia. Il Palazzo è ora passato alla Famiglia di Robilant.
Su via di Campo Carleo si apre l’ingresso della Casa dei Cavalieri di Rodi, chiamati dapprima con il nome di Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme e successivamente Cavalieri di Malta. La Casa risale al XII secolo, ma venne abbellita e fatta restaurare successivamente, precisamente negli anni 1467-70, dal cardinale Pietro Barbo, quando egli era appunto amministratore del Priorato. L'edificio riprende con estrema fedeltà le strutture originali romane e si incastona parzialmente nel Foro di Augusto. Dalla grande balconata è possibile ammirare un splendido panorama dei Fori e dei Mercati Traianei.
largo Magnanapoli
Al termine della Salita del Grillo si arriva in Largo Magnanapoli: assai incerto appare il toponimo Magnanapoli, sebbene diversi autori abbiano provato a darne spiegazione, ma nessuna tesi appare tuttora sicura e convincente. Vi è la teoria che sostiene che il termine derivi da uno stabilimento termale situato nella zona e chiamato Balnea Pauli, corrotto in balnea napoli e poi magnanapoli; l'ipotesi più accreditata risulta forse quella che lo vuole derivare da Bannum Nea Polis, ossia "fortezza della città nuova", una cittadella militare bizantina risalente al IX-X secolo, che confermerebbe anche il termine con cui nel Medioevo la zona era denominata, ossia contrada militarium e forse anche il nome della Torre delle Milizie qui situata. Questa torre è la più antica di Roma fra quelle sopravvissute e per secoli la leggenda popolare raccontò che questa massiccia struttura in mattoni fu il luogo da cui Nerone avrebbe assistito all'incendio di Roma. In realtà la torre faceva parte di un fortilizio fatto erigere da Gregorio IX dei Conti di Segni nel XIII secolo, sul basamento di una torre di guardia delle mura Serviane. Nel 1300 diventa proprietà della famiglia degli Annibaldi. Inserita nel complesso fortificato in costruzione sui ruderi dei mercati traianei diventa un baluardo contro la fazione nemica dei Colonna, facendo prendere alla zona il nome di contrada "militarium" e da qui secondo l'Armellini il nome di Torre delle Milizie. Nel XIV secolo la torre passò ai Caetani e quindi alla famiglia dei Conti; nel 1348 il violento terremoto che provocò tanti danni in tutta la città fece crollare il terzo piano della torre, oggi ridotto a poco più di un moncone, e provocò un cedimento del terreno, che fu la causa dell'inclinazione dell'edificio ancora oggi ben visibile. Nel 1574, fra i ruderi dell'antico maniero e la torre, rovinata e inagibile, si insediarono le suore domenicane del monastero di Santa Caterina.
La chiesa di Santa Caterina a Magnanapoli fu realizzata contemporaneamente al convento delle Domenicane intorno al 1575, grazie alla volontà di Porzia Massimi e fu dedicato a Santa Caterina da Siena, le cui reliquie sono in parte custodite all'interno della chiesa. Intorno al 1630 Giovanni Battista Soria lo rinnovò profondamente e a questo periodo risale la facciata d'impronta tardo-cinquecentesca, progettata a due ordini di uguale ampiezza. Una moderna scala a doppia rampa introduce al portico, scandito da tre arcate, sotto il quale è celata la cripta dei caduti. Lo spazio interno si sviluppa in un'unica navata e tre cappelle disposte lateralmente, il tutto riccamente decorato in stile sei-settecentesco. Il monumentale altare maggiore ospita un tabernacolo del 1787, attribuito a Carlo Marchionni, preziosamente realizzato in agata, lapislazzuli e bronzo, ed un policromo gruppo scultoreo, l'estasi di Santa Caterina, un chiaro riferimento all'estasi berniniana di Santa Teresa.
La chiesa di Santa Caterina a Magnanapoli fu realizzata contemporaneamente al convento delle Domenicane intorno al 1575, grazie alla volontà di Porzia Massimi e fu dedicato a Santa Caterina da Siena, le cui reliquie sono in parte custodite all'interno della chiesa. Intorno al 1630 Giovanni Battista Soria lo rinnovò profondamente e a questo periodo risale la facciata d'impronta tardo-cinquecentesca, progettata a due ordini di uguale ampiezza. Una moderna scala a doppia rampa introduce al portico, scandito da tre arcate, sotto il quale è celata la cripta dei caduti. Lo spazio interno si sviluppa in un'unica navata e tre cappelle disposte lateralmente, il tutto riccamente decorato in stile sei-settecentesco. Il monumentale altare maggiore ospita un tabernacolo del 1787, attribuito a Carlo Marchionni, preziosamente realizzato in agata, lapislazzuli e bronzo, ed un policromo gruppo scultoreo, l'estasi di Santa Caterina, un chiaro riferimento all'estasi berniniana di Santa Teresa.
Dall’altra parte della strada , dove prima sorgeva Santa Maria in Magnanapoli, troviamo la chiesa dei Santi Domenico e Sisto con la sua ampia e caratteristica scalinata a due rampe terminante in una terrazza ellittica. La chiesa, dedicata al fondatore dell'Ordine dei Domenicani, San Domenico, ed a papa San Sisto II, fu costruita per volere di Pio V ad opera di Giacomo Della Porta, Nicola Torriani, Orazio Torriani e Vincenzo Della Greca, che terminò la facciata nel 1655. Questa presenta un portale inquadrato da due colonne e due lesene che sorreggono un timpano spezzato, al centro del quale vi è posta un'Immagine della Madonna. Il chiostro, iniziato intorno alla fine del XVI secolo e tradizionalmente attribuito al Vignola, fu completato durante i primi anni del Seicento; al centro del cortile interno, tenuto a giardino, si trova una fontana alimentata con l'Acqua Felice, l'acquedotto terminato nel 1585 da papa Sisto V, il quale già durante il suo pontificato concesse al monastero due once d'acqua per rifornire la fontana del chiostro ancora in costruzione. L'interno della chiesa, a navata unica, è ricco di decorazioni e marmi ed è adornato da affreschi del seicento.
via XXIV maggio
Questa strada, che prende il nome dalla data di entrata in guerra dell’Italia nel 1915, costituisce la linea di demarcazione tra i rioni Monti e Trevi. Troviamo quasi subito la chiesa di San Silvestro, alla quale si accede non dal portone principale, ma dal laterale al numero 10. La chiesa ha origini molto antiche, si pensa intorno al IX secolo, e dedicata a San Silvestro, secondo la tradizione guaritore dell’imperatore Costantino. Concessa nel 1507 ai Domenicani, che ne intrapresero la ricostruzione insieme all’annesso convento, passò quindi ai Teatini, per essere completata nel 1566. Nel 1580 fu aggiunta alla chiesa la cappella Bandini, di Ottaviano Mascherino, la cui cupola è visibile dalla strada, a sinistra della facciata. La chiesa è a navata unica, con due cappelle per lato, cupola e profondo presbiterio; nella seconda cappella destra, all’altare, l’immagine della Madonna della Catena, venerata tavola di scuola romana del XIII secolo. All’altare, Assunzione, tavola di Scipione Pulzone, nei pennacchi della cupola quattro tondi del Domenichino con scene bibliche, nelle nicchie quattro statue, Santa Marta, San Giuseppe, San Giovanni Evangelista e Maria Maddalena. La prima cappella sinistra è la più antica della chiesa, costruita già nel 1518 e decorata tra il 1525 e il 1527, ed ha un pavimento in formelle di maiolica, opera di Luca della Robbia il Giovane: si tratta delle maioliche avanzate nella pavimentazione delle Logge di Raffaello in Vaticano.
Di fronte alla chiesa di San Silvestro si trova uno dei più importanti palazzi gentilizi di Roma: Palazzo Pallavicini Rospigliosi. La costruzione occupa il luogo in cui sono stati rinvenuti i ruderi delle Terme di Costantino, di cui restano ancora i resti nello scantinato. Il palazzo fu costruito dal cardinale Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V, come una grande dimora desiderata al lato della residenza papale del Palazzo del Quirinale. Il palazzo ed il giardino sono stati progettati da Giovanni Vasanzio e da Carlo Maderno nel periodo 1611-1616. All'interno, un piccolo museo contiene una notevole collezione rinascimentale-barocca e il Casino dell'Aurora con un affresco di Guido Reni (1624).
Di fronte alla chiesa di San Silvestro si trova uno dei più importanti palazzi gentilizi di Roma: Palazzo Pallavicini Rospigliosi. La costruzione occupa il luogo in cui sono stati rinvenuti i ruderi delle Terme di Costantino, di cui restano ancora i resti nello scantinato. Il palazzo fu costruito dal cardinale Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V, come una grande dimora desiderata al lato della residenza papale del Palazzo del Quirinale. Il palazzo ed il giardino sono stati progettati da Giovanni Vasanzio e da Carlo Maderno nel periodo 1611-1616. All'interno, un piccolo museo contiene una notevole collezione rinascimentale-barocca e il Casino dell'Aurora con un affresco di Guido Reni (1624).
Villa Colonna o "giardino dei Colonnesi", come era chiamato dai romani, occupa l'area dove anticamente era collocato il Tempio di Serapide, costruito da Caracalla nel III secolo d.C., posto in alto, al centro di un vasto recinto su una terrazza in parte artificiale ed accessibile dal basso per mezzo di due grandiose scalinate parallele. Del tempio, all'interno della Villa, rimangono solo pezzi di colonne del diametro di quasi 2 metri e un frammento di trabeazione del lato posteriore del tempio. Villa Colonna si estendeva da via della Pilotta fino al Quirinale suddiviso in tre grandi terrazzamenti: quello inferiore era al livello del palazzo Colonna ed era decorato secondo i canoni del giardino all'italiana. Il secondo livello era decorato da una fontana a parete, da cui l'acqua scendeva percorrendo due ampie scalinate. Il terzo livello era ripartito in aiuole alberate e terminava con il grandioso portale del 1618, con un coronamento di statue: la doppia scalinata a balaustra fu aggiunta in seguito ai lavori di abbassamento del livello stradale avvenuti sotto Pio IX.
piazza del Quirinale
Entriamo quindi nell’ampia e scenografica piazza del Quirinale, costruita su tre lati e dominata dalla mole dell’omonimo palazzo e aperta a destra verso la parte bassa della città, su cui affaccia la terrazza panoramica che offre uno dei panorami più spettacolari della capitale. Realizzata sull'omonimo colle, fu sistemata con l'intervento di diversi Papi, da Sisto V ad Urbano VIII, a Pio IX. Il Quirinale è, il più alto dei colli della città con un'altezza massima di 60 metri. All'epoca dell'impero romano, il Quirinale era divenuto un quartiere popolato da case patrizie e vide la costruzione dell'ultimo dei grandi stabilimenti termali di Roma, le Terme di Costantino, fatte costruire da Massenzio ma poi ridenominate da Costantino nel 315 d.C. Occupavano un'area irregolare piuttosto stretta e allungata, oggi compresa tra la piazza del Quirinale e le vie XXIV Maggio, della Consulta e Nazionale, ottenuta con grandi lavori di sbancamento e di regolarizzazione del terreno in pendio. Danneggiate da un incendio, furono restaurate nel 443, quando probabilmente vi furono collocati i gruppi equestri dei Dioscuri che oggi sono situati al centro di piazza del Quirinale. Oggi non ne resta più alcuna traccia visibile e gli ultimi resti furono demoliti al momento dell'apertura di via Nazionale. Oltre ai menzionati Dioscuri, appartenevano alle Terme anche la statua di Costantino posta all'interno del portico della basilica di San Giovanni in Laterano, le statue di Costantino e di suo figlio Costantino II poste sulla balaustra della Cordonata e le due statue del Nilo e del Tevere che ornano la facciata di Palazzo Senatorio. Per tutto il medioevo il Quirinale rimase praticamente abbandonato pur se sempre dominato dalla presenza delle statue dei Dioscuri, tanto da far si che l’intera contrada prendesse il nome di “Monte Cavallo”: lo slargo dei Dioscuri aveva la funzione di snodo stradale tra Quirinale e parte bassa della città, contornato da rovine a cui erano affiancati vigneti, edifici religiosi e ville private. Questo carattere si mantenne fino a tutto il XVI secolo quando Sisto V, per primo, si preoccupò di conferire un aspetto organico alla piazza, mal collegata con la zone sottostanti, e soprattutto portando sulla piazza l’acquedotto Felice, attraverso un condotto che sfociava nella fontana realizzata ad hoc tra le statue dei Dioscuri. Nel Settecento furono realizzate le scuderie del Quirinale ed il Palazzo della Consulta; poi fu Pio IX, nel 1866, a riuscire finalmente a creare il collegamento della piazza con l'area bassa di Roma, apportando l'ultima profonda trasformazione.
Il Palazzo della Consulta fu progettato per funzioni politiche da Ferdinando Fuga su incarico di Clemente XII, il quale, ultimati i lavori dell'imponente residenza pontificia, pretese che quest'ultima avesse una cornice consona. Inizialmente divenne Sede della Consulta (sorta di Consiglio di Stato pontificio) e delle caserme delle Corazze e dei Cavalleggeri, i corpi militari di difesa del Pontefice. Il fastoso edificio, situato sul lato orientale della Piazza del Quirinale, si impone per le enormi statue della Giustizia e della Religione, che coronano il portale centrale del palazzo. I frontoni ornati dei tre portali ed il volo di angeli, a sostegno dello stemma di Clemente XII, donano alla facciata un movimento che si contrappone alle linee essenziali del palazzo del Quirinale.
Il Palazzo della Consulta fu progettato per funzioni politiche da Ferdinando Fuga su incarico di Clemente XII, il quale, ultimati i lavori dell'imponente residenza pontificia, pretese che quest'ultima avesse una cornice consona. Inizialmente divenne Sede della Consulta (sorta di Consiglio di Stato pontificio) e delle caserme delle Corazze e dei Cavalleggeri, i corpi militari di difesa del Pontefice. Il fastoso edificio, situato sul lato orientale della Piazza del Quirinale, si impone per le enormi statue della Giustizia e della Religione, che coronano il portale centrale del palazzo. I frontoni ornati dei tre portali ed il volo di angeli, a sostegno dello stemma di Clemente XII, donano alla facciata un movimento che si contrappone alle linee essenziali del palazzo del Quirinale.
La Fontana dei Dioscuri è frutto di successive trasformazioni dallo scenario della piazza. Papa Sisto V, tra il 1585 e il 1590, arricchì la piazza con le statue dei Dioscuri , provenienti dalle Terme di Costantino, copie di età imperiale di opere greche risalenti al V secolo a.C.. Le statue di Castore e Polluce, protettori dei cavalieri, alti più di cinque metri, erano indicate dal popolo come i "domatori di cavalli", da qui il nome di Monte Cavallo, attribuito familiarmente dalla gente alla piazza. Nel 1786, dopo quasi due secoli, Pio VI inserì l'obelisco, uno di quelli che erano posti all'entrata del mausoleo di Augusto, dando il compito a Giovanni Antinori di spostare l'orientamento delle statue dei Dioscuri, che frenano i loro cavalli, in posizione divergente rispetto al Quirinale. L'ultima modifica fu apportata da Pio VII nel 1818, il quale aggiunse una nuova fontana realizzata da Raffaele Stern.
Caposaldo urbanistico della Roma Barocca, il Palazzo del Quirinale fu da sempre eletto a dimora dei più alti poteri politici. Inizialmente fu adibito a residenza estiva dei Papi, voluta da Gregorio XIII che scelse il colle più alto di Roma perché lontano dal Vaticano, considerato in quel periodo insalubre a causa della malaria.
Numerosi celebri architetti, esponenti dell'età della Controriforma e del Barocco, diedero il loro contributo per la realizzazione di quest'opera. Martino Longhi il Vecchio iniziò i lavori nel 1573, poi Domenico Fontana nel 1589 progettò la solenne facciata principale, movimentata dall'imponente portone d'ingresso ideato da Carlo Maderno (1615). Bernini fu autore dell'ala su Via del Quirinale (1626) ed infine Ferdinando Fuga terminò i lavori.
Il cortile interno, custodito dai corazzieri, è la sede in cui vengono accolti i capi di Stato e di governo. Dopo il 1870 il palazzo divenne reggia dei Savoia e dal 1947 residenza ufficiale del Presidente della Repubblica. Le sale del Quirinale conservano opere di molti grandi artisti, tra cui Botticelli, Piero da Cortona, Melozzo da Forlì, Guido Reni.
Lo spazio urbano di piazza del Quirinale è completato dal Palazzo delle Scuderie, collocato a ridosso del muro che chiude il giardino Colonna e poggia sui resti del tempio romano di Serapide. Costruito nell'arco di un decennio (1722 - 1732), come rimessa per carrozze e poste per cavalli, funzione che ha conservato fino al 1938, è oggi, dopo un restauro integrale dell'edificio, un luogo espositivo di ineguagliabile valore e bellezza. Occupa una superficie complessiva di circa 3000 metri quadrati, distribuiti su più piani e rappresenta. In particolare, al primo e al secondo piano ampi spazi di circa 1500 metri quadrati costituiscono la zona espositiva. Al piano ammezzato sono allestiti servizi di accoglienza, la libreria, il negozio di oggettistica e spazi riservati ad iniziative collaterali alle mostre.
via della Dataria
Anticamente la via era chiamata "strada o salita di Montecavallo" perché conduceva alla piazza del Quirinale, un tempo denominata Monte Cavallo, tramite una scalinata. La via fu aperta da Paolo V e terminata da Pio IX e prende il nome dal Palazzo della Dataria Apostolica che per sette secoli, fino alla sua soppressione nel 1968 nell' ambito della riforma della Curia romana operata da Paolo VI, fu uno dei più importanti dicasteri della Santa Sede. Al civico 96 della via è situato il palazzo della Panetteria, così chiamato per la vicinanza con la Panetteria Apostolica. Questo edificio, sorto come diramazione del palazzo del Quirinale presenta una lunga facciata a tre piani con finestre riquadrate in marmo; il pianterreno alla sinistra del portale, per il dislivello del terreno, diviene un piano nobile, mentre la sopraelevazione risale al 1814. Sul versante opposto della via, al civico 21, è situato il palazzo di San Felice, costruito nel 1860 sull'area dove prima sorgeva il convento dei Cappuccini annesso alla chiesa di San Bonaventura. La costruzione fu voluta da Pio IX in occasione della sistemazione della zona per i dipendenti del palazzo del Quirinale, come ricorda l'iscrizione sulla facciata, e prese il nome da San Felice da Cantalice che aveva vissuto nel convento dei Cappuccini. Il palazzo di San Felice attualmente ospita uffici della Presidenza della Repubblica.
Sulla destra di via della Dataria si apre vicolo Scanderbeg, che prende il nome dal palazzetto del principe albanese Giorgio Castriota detto Scanderbeg (un nome attribuitogli dai Turchi che significa "principe Alessandro") Il vicolo fu il primo a Roma ad avere un nome straniero ed infatti il popolo, data la difficoltosa pronuncia del soprannome, chiamò il vicolo "Scannabecchi". Il vicolo e la piazza su cui si apre costituiscono uno dei luoghi più pittoreschi di Roma, serrato tra case erette o rinnovate tra il Seicento e l'Ottocento; ne aumenta il valore scenografico l'arco della Dataria, poggiante su belle mensole, che lo scavalca creando un gioco di chiaroscuri e che fu costruito nel 1860 per unire il palazzo della Dataria al palazzo del Quirinale.
Percorrendo via di San Vincenzo, che prende il nome da uno dei due santi cui è dedicata la chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio che si affaccia su piazza di Trevi cui si trova uno dei gioielli più famosi di Roma.
Sulla destra di via della Dataria si apre vicolo Scanderbeg, che prende il nome dal palazzetto del principe albanese Giorgio Castriota detto Scanderbeg (un nome attribuitogli dai Turchi che significa "principe Alessandro") Il vicolo fu il primo a Roma ad avere un nome straniero ed infatti il popolo, data la difficoltosa pronuncia del soprannome, chiamò il vicolo "Scannabecchi". Il vicolo e la piazza su cui si apre costituiscono uno dei luoghi più pittoreschi di Roma, serrato tra case erette o rinnovate tra il Seicento e l'Ottocento; ne aumenta il valore scenografico l'arco della Dataria, poggiante su belle mensole, che lo scavalca creando un gioco di chiaroscuri e che fu costruito nel 1860 per unire il palazzo della Dataria al palazzo del Quirinale.
Percorrendo via di San Vincenzo, che prende il nome da uno dei due santi cui è dedicata la chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio che si affaccia su piazza di Trevi cui si trova uno dei gioielli più famosi di Roma.
piazza di Trevi
La leggenda che diede origine alla fontana è legata ad una fanciulla che avrebbe indicato ai soldati di Agrippa, genero di Augusto di rientro a Roma dopo la vittoriosa battaglia di Azio contro Antonio, il punto in cui sgorgava l'Acqua Vergine (dal latino virgo, “fanciulla”), il cui acquedotto che convogliava l’acqua a Roma, fu poi costruito proprio da Agrippa nel 19 a.C.. In quella che poi sarà la piazza odierna fece costruire una fontana eretta a ridosso delle arcate dell’acquedotto. Per tutto il medioevo le cose rimasero immutate, poi nella seconda metà del Quattrocento, ebbe luogo la prima opera di sistemazione e restauro dell'acquedotto varata da Papa Nicolò V ed affidata ai progetti di Leon Battista Alberti e di Bernardo Rossellino; successivamente Urbano VIII Barberini conferì l'incarico di progettare una nuova fonte al Bernini che comincerà con il demolire il prospetto rinascimentale preesistente. I lavori, tuttavia, si limitavano alla messa in opera di un basamento ad esedra, con una vasca antistante in cui confluivano tre bocche d'acqua e soltanto nel 1730, 90 anni più tardi, papa Clemente XII bandirà un concorso per la realizzazione definitiva della fontana di Trevi vinto da Nicola Salvi che progettò la più spettacolare e maestosa fontana della capitale.
I lavori durarono vent'anni, dal 1732 al 1751, ma l'artista morì prima che il suo capolavoro fosse ultimato. La fontana tardo-barocca, appoggiandosi all'edificio del quale riprende le dimensioni, fonde in modo armonioso architettura e scultura. Al centro del gruppo scultoreo, realizzato da Pietro Bracci (1759-1762), sotto l'arco trionfale, campeggia la figura del dio Oceano, con il suo cocchio a conchiglia, trainato dai due cavalli marini, uno calmo e l'altro agitato, e dai due tritoni. Nelle due nicchie laterali sono poste le figure simbolo dell'Abbondanza e della Salubrità, concepite da Filippo della Valle. Molte leggende sono associate a questo luogo, la più famosa è probabilmente quella legata al lancio della monetina nella vasca da parte dei visitatori, come augurio che questo gesto garantisca loro di tornare ancora una volta a Roma.
Di fronte alla Fontana di Trevi sorge la chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio, che vanta una delle più belle facciate barocche di Roma, ma viene ricordata soprattutto perché vi si conservano, in appositi loculi, i precordi (ossia gli organi racchiusi nella cavità toracica vicino al cuore) che venivano tolti prima di imbalsamare il corpo dei pontefici. Sisto V fu il primo ad inaugurare l'uso nel 1590, mantenutosi fino a Leone XIII, morto nel 1903: questa macabra tradizione fu infatti interrotta dal papa successivo, Pio X. La chiesa fu completamente ricostruita tra il 1644 e il 1650 da Martino Longhi il Giovane per volere del cardinale Mazzarino, come testimoniato dallo stemma sormontato dal cappello cardinalizio che una coppia di angeli tiene in bella mostra al centro del triplice frontone. La facciata, a edicola su due ordini e ricoperta di travertino, presenta inoltre alcune particolarità: innanzitutto la presenza di ben 18 colonne che valsero alla chiesa l'appellativo di "Canneto": 10 nell'ordine inferiore e 6 nell'ordine superiore, più 2 poste ai lati del grande finestrone centrale. L'interno, ad aula con tre cappelle per lato, custodisce un affresco del pittore Francesco Manno raffigurante i Santi Vincenzo, Anastasio e Camillo, mentre sull'altare maggiore vi è una pala di Francesco De Rosa.
© Sergio Natalizia - 2008