S. Maria in via Lata
i percorsi di ALR
storia architettonica di Santa Maria in via Lata
Storia di Santa Maria in via Lata
La chiesa si trova nel rione Pigna, in via del Corso. Di antichissima origine, deve il suo nome alla strada che costituiva, in epoca classica, il primo tratto urbano della via Flaminia. Si sviluppa sopra i resti di un grande edificio pubblico (probabilmente un porticus) risalente alla prima età imperiale. Al principio del III secolo in questo edificio furono ricavati una serie di magazzini (horrea), sei dei quali, a loro volta, furono poi trasformati in diaconia, ovvero centri di assistenza spirituale per la popolazione. Essa fu costruita in sostituzione di una antichissima diaconia, sorta sulla primitiva cappella, che fu "prima Residenza, Tribunale e Trono della maestà di San Pietro" e in cui probabilmente San Paolo operò le prime conversioni. L'epoca di questa trasformazione si fa risalire per tradizione a papa Sergio I (687-701). Per adattare gli horrea alla nuova funzione, fu tuttavia necessario effettuare alcune modifiche strutturali dei sei vani. Furono dapprima eliminati i mezzanini lignei (di cui restano abbondanti tracce); si misero in comunicazione i sei vani, creando tre navate disposte lungo l'asse ovest-est; si dotò la navata centrale di un'abside. Il Liber Pontificalis ricorda che Leone III (795-816) e Gregorio IV (827-844) elargirono molti doni alla chiesa e riferisce pure che sotto i pontificati di Sergio II (844-847), Benedetto III (855-858) e Niccolò III (858-867) il Tevere si alzò così tanto che a volte l'accesso alla chiesa finì completamente sommerso. Fu forse proprio per far fronte ai continui allagamenti che nel 1049 papa Leone IX (1049-1054) volle che la chiesa fosse completamente ricostruita, sopraelevandola. Il nuovo edificio aveva l'orientamento opposto a quello attuale e si appoggiava ad un arco romano (l'Arcus Novus) che scavalcava la via Lata. Nel consacrare il nuovo edificio, Leone IX collocò nell'altare maggiore alcune reliquie. La chiesa inferiore venne in parte murata e in parte trasformata in cripta.
La chiesa dovette avere notevole importanza nel basso medioevo: Cencio Camerario ci informa che alla fine del XII secolo le erano attribuite generose elargizioni in denaro, segno della considerazione di cui godeva. Nel 1491 Innocenzo VIII avviò una profonda modifica dell'edificio, che, pur conservando la pianta basilicale della chiesa medioevale, con le tre navate divise da dodici colonne antiche in marmo cipollino, fu ampliato e rialzato di circa un metro. L'abside andò a occupare l'area di una chiesa confinante (San Ciriaco) e si demolì perfino l'adiacente arco romano. La nuova chiesa fu consacrata nel 1506, anche se soltanto con il XVII secolo assunse il suo aspetto definitivo. Poco nella chiesa superiore sembra rimandare alla sua storia medioevale: nella Cappella del Sacramento, in fondo alla navata destra, sopravvivono resti del pavimento cosmatesco, mentre sull'altare maggiore si conserva l'icona della Madonna Advocata, opera di un non meglio documentato Petrus pictor; variamente datata tra l'XI e il XIII secolo, l'icona presenta una volumetria e una saldezza che consente di datarla alla seconda metà del XII secolo. Da una porta a sinistra dell'atrio si accede alla chiesa sotterranea (corrispondente alla chiesa paleocristiana), assai difficile da visitare. La sistemazione seicentesca contribuì a salvaguardare una serie di affreschi di straordinaria importanza per lo studio dell'arte romana altomedioevale; tuttavia, a causa della grande umidità degli ambienti, nel 1960 l'Istituto Centrale del Restauro procedette al definitivo distacco degli affreschi, oggi esposti, dopo un lungo restauro, nel Museo Nazionale Romano-Crypta Balbi.
La chiesa dovette avere notevole importanza nel basso medioevo: Cencio Camerario ci informa che alla fine del XII secolo le erano attribuite generose elargizioni in denaro, segno della considerazione di cui godeva. Nel 1491 Innocenzo VIII avviò una profonda modifica dell'edificio, che, pur conservando la pianta basilicale della chiesa medioevale, con le tre navate divise da dodici colonne antiche in marmo cipollino, fu ampliato e rialzato di circa un metro. L'abside andò a occupare l'area di una chiesa confinante (San Ciriaco) e si demolì perfino l'adiacente arco romano. La nuova chiesa fu consacrata nel 1506, anche se soltanto con il XVII secolo assunse il suo aspetto definitivo. Poco nella chiesa superiore sembra rimandare alla sua storia medioevale: nella Cappella del Sacramento, in fondo alla navata destra, sopravvivono resti del pavimento cosmatesco, mentre sull'altare maggiore si conserva l'icona della Madonna Advocata, opera di un non meglio documentato Petrus pictor; variamente datata tra l'XI e il XIII secolo, l'icona presenta una volumetria e una saldezza che consente di datarla alla seconda metà del XII secolo. Da una porta a sinistra dell'atrio si accede alla chiesa sotterranea (corrispondente alla chiesa paleocristiana), assai difficile da visitare. La sistemazione seicentesca contribuì a salvaguardare una serie di affreschi di straordinaria importanza per lo studio dell'arte romana altomedioevale; tuttavia, a causa della grande umidità degli ambienti, nel 1960 l'Istituto Centrale del Restauro procedette al definitivo distacco degli affreschi, oggi esposti, dopo un lungo restauro, nel Museo Nazionale Romano-Crypta Balbi.
Santa Maria in via Lata in una incisione di Giuseppe Vasi del 1748
architettura di Santa Maria in via Lata
L'interno è suddiviso in tre navate, con sei cappelle scandite da dodici colonne rosse di diaspro siciliano. Le navate laterali hanno due altari ciascuna e volta a crociera. Il ripristino dei sei ambienti si deve a Pietro da Cortona, che tra il 1658 e il 1662 recuperò i vani restaurandoli e decorandoli come anche a lui si deve il recupero delle vestigia dell’antica chiesa sottostante al più recente edificio. L’altare maggiore con la tribuna fu rifatto sontuosamente dagli eredi di Giovanni Batista d'Aste, e poi la chiesa fu abbellita con un soffitto, fatto dipingere dai canonici, aiutati in gran parte dal Cavalier Francesco d'Aste. Il rimodernamento della chiesa fu curato dal Cavalier Cosimo da Bergamo. Nel primo altare sulla destra fu raffigurato Sant'Andrea da Giacinto Brandi; San Niccolò vescovo fu dipinto nel secondo altare da Giuseppe Ghezzi. In testa alla navata fu posto l'altare del Crocifisso. I due suddetti altari furono rinnovati a spese di Fulvio Sercanci, e mentre Michele Gaucci fu l’architetto del primo, Bernardo Borromini lo fu del secondo. Le pitture della tribuna della chiesa furono eseguite da Andrea Camassei da Bevagna, ma hanno subito moltissimi danni durante questi ultimi secoli. Il soffitto fu dipinto con diverse storie di Maria Vergine da Giacinto Brandi. La cappella di San Ciriaco si trova in fondo dell'altra navata, con la tavola di Giovanni Odazzi. Poi si trova l'altare con un quadro di San Paolo, in atto di un battesimo, opera del Cavalier Pier Leone Ghezzi. Nell'ultima cappella si trova la tavola con la Madonna, San Lorenzo, e Sant'Antonio di Pietro de' Pietri.
pianta del piano terra della chiesa con tre navate e sei cappelle laterali
Pianta della chiesa inferiore
sezione longitudinale
sezione trasversale
la facciata
Questa chiesa ha una elegantissima facciata barocca, con pronao, opera di Pietro Da Cortona [1658-62] con due ordini corinzi che si aprono nel portico e nella sovrastante loggia con serliana, che le conferirono un carattere monumentale e severo. L'elegante campanile è opera di Martino Longhi il Vecchio (1580).
Per quanto la facciata della chiesa di Santa Maria in via Lata si fosse sviluppata su due piani, il tema della loggia, con due ordini di colonne corinzie le conferirono un carattere gigantesco e austero. Fondamentale nella sua realizzazione fu l’attenzione che il Cortona rivolse al contesto ambientale: lo stretto rettifilo del Corso impose all’artista una soluzione adatta più alla visione di scorcio che non frontale, con la riprova che quella di Santa Maria in Via Lata ha valore più di quinta prospettica che non di facciata. All’opposto, l’opera architettonica più bella e rappresentativa del Cortona, la chiesa di Santa Maria della Pace assieme alla sua piazza antistante, appare come uno delle più alte rappresentazioni del barocco romano e dell’arte di ogni tempo; la costruzione tardo quattrocentesca, scrigno di opere di artisti del calibro di Raffaello, fu rinnovata e in parte costruita ex-novo sotto la guida del Cortona a partire dal 1655 fino al 1659, per volere dello stesso pontefice Alessandro VII Chigi. Gli interventi dell’architetto riguardarono tutta la chiesa, ma la facciata e la sistemazione della piazza antistante è d’importanza sicuramente maggiore rispetto ai lavori condotti all’interno dello stesso corpo architettonico. Il progetto e la successiva realizzazione del Cortona inaugurarono un nuovo punto di partenza perché egli applicò l’esperienza della scenografia teatrale al tessuto urbanistico circostante. La chiesa con la sua facciata apparve allora come un palcoscenico e la piazza come un auditorio, mentre le case che la circondano furono i palchi su cui si affacciavano gli spettatori come in un teatro. L’esito finale di quei due progetti, insieme con la cupola di San Carlo al Corso e la facciata e la cupola dei SS. Luca e Martina contribuirono a creare il nuovo volto della Roma Barocca del XVII secolo.
Per quanto la facciata della chiesa di Santa Maria in via Lata si fosse sviluppata su due piani, il tema della loggia, con due ordini di colonne corinzie le conferirono un carattere gigantesco e austero. Fondamentale nella sua realizzazione fu l’attenzione che il Cortona rivolse al contesto ambientale: lo stretto rettifilo del Corso impose all’artista una soluzione adatta più alla visione di scorcio che non frontale, con la riprova che quella di Santa Maria in Via Lata ha valore più di quinta prospettica che non di facciata. All’opposto, l’opera architettonica più bella e rappresentativa del Cortona, la chiesa di Santa Maria della Pace assieme alla sua piazza antistante, appare come uno delle più alte rappresentazioni del barocco romano e dell’arte di ogni tempo; la costruzione tardo quattrocentesca, scrigno di opere di artisti del calibro di Raffaello, fu rinnovata e in parte costruita ex-novo sotto la guida del Cortona a partire dal 1655 fino al 1659, per volere dello stesso pontefice Alessandro VII Chigi. Gli interventi dell’architetto riguardarono tutta la chiesa, ma la facciata e la sistemazione della piazza antistante è d’importanza sicuramente maggiore rispetto ai lavori condotti all’interno dello stesso corpo architettonico. Il progetto e la successiva realizzazione del Cortona inaugurarono un nuovo punto di partenza perché egli applicò l’esperienza della scenografia teatrale al tessuto urbanistico circostante. La chiesa con la sua facciata apparve allora come un palcoscenico e la piazza come un auditorio, mentre le case che la circondano furono i palchi su cui si affacciavano gli spettatori come in un teatro. L’esito finale di quei due progetti, insieme con la cupola di San Carlo al Corso e la facciata e la cupola dei SS. Luca e Martina contribuirono a creare il nuovo volto della Roma Barocca del XVII secolo.
facciata
particolare della Loggia
facciata e campanile
I capolavori d'arte della chiesa
Nel vano I è ancora visibile la colonna di granito con base e capitello corinzio, connessa alla memoria della prigionia di San Paolo che secondo una leggenda avrebbe dimorato proprio qui; verso l'angolo nord si trova il pozzo ottagonale da cui sarebbe scaturita una fonte prodigiosa in seguito alle preghiere di San Paolo. Il vano II conserva ancora un altare in muratura collocato al centro della parete nord. Alto circa un metro e di forma cubica, presenta un'apertura collocata sul piano della mensa (per contenere le reliquie) e la "fenestella confessionis" al centro della superficie anteriore. Alcune pitture decorano le facce visibili: l'anteriore presenta piccole croci bianche su fondo scuro, le laterali una croce rossa dai cui angoli nascono palmette. Dal confronto con altari analoghi, può essere attribuito alla fase originaria della diaconia paleocristiana. Dal vano III provengono gli affreschi (variamente datati al VII-VIII secolo), raffiguranti l'Orazione nell'Orto, opera di un pittore forse non romano dotato di notevoli capacità espressive, e Tre teste di santi, dalla decisa impostazione plastica e una vigorosa espressività che li collega agli affreschi più antichi di San Crisogono. Il vano IV mostra un antico accesso a ovest occluso da strutture di fondazione della chiesa del secolo XI.
Altare maggiore
icona Madonna Advocata
Qui, nell'arco che divide questo ambiente dal vano I era raffigurata una ghirlanda di rose e ai lati, scendendo lungo i pilastri, un tempietto e figure di santi. Anche le altre pareti del vano erano interessate da pitture: sul lato sud è stato identificato un Mosè, mentre sul lato nord fu ritrovata una pittura raffigurante una porta in prospettiva; lungo il muro ovest vi erano invece altre figure, che dovevano far parte di un Giudizio di Salomone: quando furono realizzate le fondazioni della superiore chiesa medioevale, queste pitture furono rovinate. Erano infine collocate a est le Storie di Sant'Erasmo (metà del secolo VIII), notevoli per il loro intento narrativo, dove le immagini, in parte sproporzionate, sembrano seguire un filone di arte popolare che si riscontra in analoghi affreschi contemporanei. Nella fascia subito al di sotto, sono state individuate tracce di affreschi raffiguranti scene tratte dalle Storie dei Sette Dormienti e le figure di due committenti (indicati dalle scritte Benedicta mulier ed Ego Silbester mon[achus]). Anche il vano V ha conservato notevoli tracce di pitture. Particolarmente interessanti sono le figure monumentali di due santi, alte m. 1,25, poste a ornamento degli stipiti interni del passaggio aperto tra il vano IV e il V. Identificate con i due santi celimontani Giovanni e Paolo (sono infatti accompagnate rispettivamente dalle scritte Paulus e [Johan]nes), le due figure mostrano un segno nero di contorno molto rigido che sembra datarle alla fine dell'VIII secolo. Il vano VI infine mostra una porta colmata da un poderoso muro di fondazione relativo alla ricostruzione della chiesa ad un livello più alto avvenuta nel secolo XI. Al centro del vano è posto un'altare, datato al XII secolo; esso fu realizzato riutilizzando un antico cippo nelle cui facce a vista fu inserita una decorazione cosmatesca formata da frammenti di marmi antichi (porfido, serpentino, basalto). In un locale annesso alla chiesa si conservano alcuni arredi sacri, tra cui un cero pasquale cosmatesco e una cassetta reliquiaria con smalti, di fabbrica limosina (XIII secolo).
All'interno, le colonne rosse di diaspro di Sicilia le conferiscono, con numerose tele a vivaci colori del Seicento e del Settecento, un aspetto assai festoso. La chiesa ospita una icona della Vergine advocata del XII secolo, alla quale si attribuiscono dei miracoli, come pure reliquie di Agapito, diacono e martire del III secolo, custodite sotto l'icona.
S. Maria in via Lata in una incisione di Giovan Battista Falda del 1665
Parte dei disegni e piante utilizzate sono state gentilmente concesse dal professor Soroush Ghahramani, member of the American Institute of Architects
Alessandro La Rocca - 2010
l'indirizzo mail di Alessandro La Rocca è: ACALAMOSCA@verizon.net