tra antiche chiese e acquedotti
le mie passeggiate
tra antiche chiese e acquedotti
Una passeggiata per salutare la primavera e che permette, lontano dal traffico di tutti i giorni, di seguire l'evoluzione di Roma dalla vita quotidiana di un quartiere della città antica, all'odierno silenzio delle chiese e dei giardini. Al di là del valore artistico e storico dei luoghi, durante la passeggiata si rimane coinvolti da una sorta di sensazione di estraniamento e sospensione temporale rispetto alla realtà cittadina circostante. Hanno partecipato Dario, Celeste, Rino, Nella, Sossio, Adele, Filomena, Franco, Irma, Renato, Anna, Angela, Marina, Giuliana, Giovanna, Silvia, Piero, Massimo, Anna, Pio, Annalucia, Santina.
21 marzo 2015
21 marzo 2015
il rione Celio
Il nome del rione è legato a quello di Celio Vibenna, che insieme al fratello Aulus, secondo una tradizione etrusca, avrebbe aiutato Servio Tullio, il sesto re di Roma, ad occupare prima il Celio e poi Roma. In epoca romana, il colle era diviso in tre parti: il Coelius (dove attualmente si trova la basilica dei Ss. Giovanni e Paolo), il Coeliolus (la propaggine del colle dove si trova la chiesa dei Ss.Quattro Coronati) e la Succusa (ubicata fra Coelius e Coeliolus), che insieme formavano il Coelimontium. Mentre le pendici verso l'Esquilino e il Colosseo erano occupate da case a più piani (insulae), il colle vero e proprio (che era anche conosciuto col nome di Querquetulanus per i querceti che lo ricoprivano) era occupato da poche, ma ricche abitazioni, e da templi, come quelli di Claudio e di Ercole Vincitore e da edifici pubblici, come i Castra Peregrina (caserme per distaccamenti di truppe provinciali), nella zona di S. Stefano Rotondo. Qui si trovavano anche alcuni edifici legati al Colosseo: le caserme in cui venivano preparati i gladiatori (Ludus Magnus, Dacius, Matutinus e Gallicus), lo Spoliarum (l’obitorio), il Sanarium (una specie di pronto soccorso) e l’Armamentarium (l’arsenale). Una grande via ne percorreva tutta la dorsale: è la via Caelimontana, che usciva dalla omonima Porta Caelimontana (arco di Dolabella) e si spingeva fino a Porta Maggiore con un percorso che corrisponde a quello delle attuali via di S. Stefano Rotondo, piazza S. Giovanni in Laterano e via Domenico Fontana. Questo asse era seguito anche dai quattro acquedotti che percorrevano il Celio: Appio, Marcio, Iulio, Claudio. I primi tre erano sotterranei, l'ultimo era su archi e aveva anche una derivazione: si tratta dell'Acquedotto Neroniano, una derivazione dell'Acqua Claudia, fatto costruire da Nerone per portare l'acqua alla Domus Aurea. Le ricche dimore del Celio subirono gravi danni durante l'invasione dei Goti di Alarico nel 410 d.C. I terreni furono acquisiti dalla Chiesa per edificare chiese e conventi che sfruttarono i basamenti degli edifici preesistenti. Durante il Medioevo e il Rinascimento il colle si spopolò, molto probabilmente perché l'antica via Celimontana cessò il suo importante ruolo di collegamento tra zone urbanizzate della città, mantenendo un aspetto rurale fino alla fine dell'Ottocento. Occupato soprattutto da luoghi di culto e da ville, l’unica fascia urbanizzata rimase la via di S. Giovanni in Laterano, aperta da papa Sisto V alla fine del cinquecento e percorsa dai cortei ogni volta che il papa si recava a prendere possesso della basilica di S. Giovanni. Oltre alle grandi proprietà religiose dei conventi di S. Gregorio, dei SS. Giovanni e Paolo e dei S. Quattro Coronati, sul colle vi erano soltanto due grandi ville: Villa Celimontana e Villa Casali, il resto erano vigne. Dopo il 1870 si iniziò a costruire in maniera più intensiva sul colle, vista la sua posizione prossima al centro della città, soprattutto nella zona in prossimità di via di S. Giovanni in Laterano. Il nuovo sviluppo urbanistico intervenne pesantemente sul Celio soprattutto con la distruzione di Villa Casali per edificare nel 1886 l’ospedale militare del Celio. Proprio in quegli anni si compie l'edificazione progressiva di tutta la zona, mentre la sistemazione urbanistica degli anni trenta del Novecento portò all'allargamento di via della Navicella, la sistemazione di via di S. Gregorio al Celio e l'apertura al pubblico di Villa Celimontana. Questi sviluppi portarono nel 1921 alla costituzione del rione Celio attraverso una separazione dal rione Campitelli di cui fino ad allora aveva fatto parte.
Il Percorso
San Clemente
La chiesa, dedicata a Clemente, terzo pontefice della storia, ha una caratteristica unica al mondo: è' stata infatti ricostruita su se stessa più volte; al livello della strada c'è una chiesa, quella attuale, che risale ai tempi di Pasquale II (XII secolo), sotto si trova una chiesa del IV secolo e più sotto ancora vi sono i resti di antichi edifici romani. Si suppone che questi ultimi, di forma rettangolare e delimitati da muri di grossi blocchi di tufo, possano essere parte di un edificio pubblico, databile all'inizio del I secolo d.C., dove probabilmente aveva sede l'officina della zecca imperiale. Dietro a questo edificio venne costruita, nella seconda metà del II secolo, una casa privata: fu il cortile di questa che, all'inizio del III secolo, venne trasformato in un santuario per il culto del dio Mitra. Nel IV secolo quest'aula fu trasformata in una basilica paleocristiana a tre navate, tuttora esistente al di sotto di quella moderna, successivamente decorata con affreschi aventi per oggetto la vita del santo. Gravemente danneggiata in seguito all'invasione normanna di Roberto il Guiscardo del 1084, la basilica fu prima abbandonata e poi ricoperta di terra per sostenerne una nuova, costruitavi da Pasquale II ed inaugurata nel 1123. Tra il 1713 e il 1719 la chiesa fu ampiamente restaurata da Carlo Stefano Fontana per volontà di papa Clemente XI Albani. Le preesistenze romane e paleocristiane si erano nel frattempo dimenticate: solo nella seconda metà dell'Ottocento quando il padre domenicano irlandese Joseph Mullooly e l'archeologo Giovan Battista De Rossi iniziarono gli scavi nel sottosuolo e riportarono alla luce l'antica basilica medioevale. Gli scavi continuarono agli inizi del Novecento quando furono ritrovate anche le antiche vestigia romane. L'odierna facciata della basilica è quella del XVIII secolo e, scandita da lesene con capitelli corinzi, presenta un finestrone centrale ed è conclusa da un timpano, mentre accanto vi è un piccolo campanile. Attraverso un protiro si accede ad un quadriportico costituito da colonne del XII secolo, dove è situata una fontana con vasca ottagonale: da qui si accede alla basilica, divisa in tre navate terminanti in altrettanti absidi e divise da antiche colonne che il Fontana ornò con capitelli ionici in stucco. Nella navata di destra importante è la Cappella di S. Domenico affrescata con "Storie della vita del Santo" di Sebastiano Conca, mentre nella navata di sinistra vi si trova il "monumento funebre del cardinale Antonio Venier", opera di Isaia da Pisa, con colonnine e marmi del tabernacolo provenienti dalla basilica inferiore e la Cappella di S. Caterina, opera quattrocentesca di Masolino di Panicale. La navata centrale ospita la Schola Cantorum, un candelabro cosmatesco, il ciborio a forma di tempietto sostenuto da quattro colonne di marmo e, nell'abside maggiore, la sedia episcopale. Una delle opere più preziose conservate nella basilica è il mosaico dell'abside, "Il trionfo della Croce", risalente al XII secolo.
Percorrendo via di S. Giovanni in Laterano e poi via dei Querceti si risale per via dei Ss. Quattro che corrisponde al tratto iniziale dell'antica Via Tuscolana; la via provenendo dal Colosseo, fiancheggiava a sud il Ludus Magnus, usciva dalle Mura Serviane dalla Porta Querquetulana (situata proprio all'altezza dei Ss.Quattro) e, dopo essersi incrociata con la Via Caelimontana, usciva da una posterula presso S. Giovanni in Laterano e si dirigeva verso Tuscolo (Frascati). Qui si incontra la imponente mole fortificata del complesso dei Ss. Quattro.
Ss. Quattro Coronati
La chiesa dei Santi Quattro Coronati domina con la sua mole la zona del Celio: già entrando all'interno del complesso monastico ci si rende subito conto di come ogni rumore o segno della vita esterna sia dimenticato. Il nome deriva dai quattro scalpellini dalmati martirizzati sotto Diocleziano per essersi rifiutati di scolpire un idolo pagano, che nel Medioevo divennero i patroni delle corporazioni edili. La chiesa è menzionata con il suo nome attuale per la prima volta nel 595, e intorno all’anno 800 fu ricostruita sotto forma di una basilica a tre navate, successivamente semidistrutta dal Sacco dei Normanni nel 1084. Pasquale II la ricostruì nel 1110 riducendola di dimensioni, tanto da ricavarne tre navate nello spazio dell’antica navata centrale. Il complesso, passato ai Benedettini, e poi alle suore Agostiniane, subì numerosi interventi, soprattutto intorno al 1630, quando la chiesa fu affrescata e arredata nuovamente. Nel 1912-1914 l’intero complesso fu restaurato rimettendo in luce tutti gli originati aspetti medievali: infatti il complesso oggi ha l'aspetto di una rocca medioevale, circondata da imponenti mura e sormontata da una torre.
Attraverso il portale sovrastato da una torre campanaria, un arco che reca nella lunetta la dedica in latino ai quattro santi titolari, si entra in un primo cortile, un tempo quadriportico della basilica del IX secolo, decorato da affreschi tardo-cinquecenteschi. Oltrepassato un architrave in stile carolingio, si raggiunge un secondo cortile, ricavato dalla parte anteriore della navata della chiesa antica, di cui resta una traccia nelle colonne dai capitelli ionici e corinzi. L’interno basilicale è diviso in tre navate da colonne antiche di granito con capitelli corinzi e compositi. Il pavimento della navata centrale è cosmatesco, mentre in alto è un soffitto ligneo a cassettoni del XVI secolo. Sulle pareti delle navate laterali sono resti di affreschi trecenteschi sulle vite dei santi. Dalla navata sinistra si accede ad un chiostro del XIII secolo, probabilmente il più piccolo di Roma, con al centro una fontana del XII secolo. Sulle pareti sono reperti paleocristiani e romani, mentre nel lato orientale si trova la cappella di S. Barbara, con resti di affreschi del XII secolo sulla volta. Dal cortile si può entrare anche nella cappella di S. Silvestro, risalente al 1264, caratterizzata da un pavimento cosmatesco, la volta a botte decorata a stelle policrome e un ciclo di affreschi dedicato alle storie di Costantino.
Fontane e Acquedotti
Percorrendo via dei Querceti e poi via Annia, dove si trova una fontana che originariamente era collocata in uno spazio antistante la basilica di San Clemente: disegnata nel 1864 da Virgilio Vespignani, durante il pontificato di Pio IX, presentava una struttura a vasca, utilizzata come lavatoio e abbeveratoio per gli animali, cui si accedeva da via Labicana. Intorno al 1927 il Comune ne decise il trasferimento nella sede attuale, vicino al muro di cinta dell’ospedale militare del Celio. Si percorre quindi via Celimontana fino alla omonima piazza dove sorge l'Ospedale Militare del Celio. L'edificazione di questa struttura nel periodo 1885-1891 suscitò notevoli polemiche soprattutto per il luogo prescelto: per la costruzione dell'edificio venne infatti distrutta Villa Casali, risalente al XVII secolo e tutto il suo parco; andarono inoltre perduti reperti archeologici di notevole importanza. Dopo piazza Celimontana, sulla destra del largo della Sanità Militare è possibile notare i resti di uno dei piloni del braccio neroniano dell'Acquedotto Claudio: la sua imponenza da subito l'idea della grandiosità dell'antica struttura.
S. Stefano Rotondo
All'inizio di via di Santo Stefano Rotondo quasi all'incrocio con via della Navicella, si apre l'ingresso di un giardino circondato da mura di epoca romana e immediatamente l'ingresso della basilica omonima, uno dei primi templi cristiani e la più grande chiesa a pianta circolare esistente al mondo. Eretta ai tempi di papa Simplicio, tra il 468 e il 483, fu edificata al posto di un mitreo e venne concepita per accogliere le reliquie di s. Stefano diacono e protomartire, rinvenute a Gerusalemme nel 415. La pianta originaria della chiesa era costituita da una grande struttura circolare costituita da due corridoi concentrici divisi da file di colonne, che circondavano lo spazio centrale coperto da un alto tamburo. Sui quattro assi della chiesa si aprivano quattro cappelle radiali, oggi ormai scomparse, che davano alla chiesa una pianta cruciforme inserita nella struttura circolare.
Oggi la chiesa risulta differente rispetto al momento della sua creazione: infatti già Innocenzo II, nel XII secolo, fece d aggiungere il portico d'ingresso e le arcate trasversali interne. Scavi svolti sotto il pavimento della chiesa hanno portato alla luce un mitreo che doveva essere collegato con la presenza nei pressi dei Castra Peregrina (la caserma degli ausiliari provinciali. Verso l'inizio del III secolo d.C. il mitreo venne trasformato, aumentando lo spazio presente nell'aula mentre l'edicola venne ampliata. Il tamburo al centro è alto 22 metri e largo altrettanto e prende luce da 22 alte finestre, alcune restaurate e altre murate durante il papato di Niccolò V, nel 1453, su consiglio di Leon Battista Alberti. Nel XVI secolo le pareti della chiesa vennero affrescate dal Pomarancio, con scene del martirio di santi. All'interno si conserva la cosiddetta "sedia di Gregorio Magno", una cattedra in marmo dalla quale si dice che il grande papa pronunciasse le sue omelie. Nelle cappelle sono conservati anche alcuni decori medioevali: nella prima cappella a sinistra dell'entrata c'è un mosaico del VII secolo raffigurante Cristo con S. Primo e S. Feliciano.
Arco di Dolabella e Silano
In piazza della Navicella, verso via di S. Paolo della Croce, si trova la facciata dell'Ospedale dei Trinitari con un portale con cornice marmorea a tutto tondo, unico resto di un ospedale dei Trinitari annesso alla chiesa di S. Tommaso in Formis (l’attuale edificio è del XVII secolo, con abside medievale funzionante da sacrestia). Sopra il portale, il Cristo fra due schiavi uno bianco e uno nero, alludente all’ordine dei Trinitari, fondato nel 1198, per il riscatto dei prigionieri. Subito dopo c'è un arco posto al di sotto di alti fornici dell'acquedotto Neroniano, conosciuto come arco di Dolabella e Silano. L'arco fu infatti fatto costruire nel 10 d.C. ed è probabilmente il rifacimento di al posto di un’antica apertura delle Mura Serviane, Porta Celimontana, riutilizzata in seguito come fornice dell’Acquedotto Neroniano. L'arco, formato da blocchi di travertino, risulta attualmente interrato per circa 2 metri; è a un solo fornice e, in origine, era alto 6,56 metri. Il fornice presenta in alto una cornice di coronamento sotto la quale si vede un'iscrizione dove vengono citati i consoli Publio Cornelio Dolabella e Caio Giulio Silano che erano in carica quando venne costruito l'arco.
S. Maria in Domnica e fontana della Navicella
La chiesa si affaccia su piazza della Navicella (a Roma, la chiesa è chiamata anche S. Maria alla Navicella), così chiamata per la fontana a forma di nave romana che la decora: si tratta di una scultura del 1513 sulla falsariga di un antico ex voto in marmo che si trovava precedentemente sul posto. Secondo un'antica leggenda la navicella fu rinvenuta nei pressi del Colosseo e si tratterebbe di un ex voto dedicato a Iside, la protettrice dei naviganti: appare assai incerto se la navicella fu soltanto restaurata o interamente realizzata ex novo da Andrea Sansovino a causa dei gravi danni dell'originale. La realizzazione fu voluta da papa Leone X Medici, del quale il piccolo monumento reca ancora gli stemmi sulle facciate del basamento. La sistemazione attuale risale soltanto al 1931, quando la navicella, collocata originariamente in una diversa posizione, fu trasformata in fontana alimentata dall'Acqua Felice.
La chiesa si affaccia su piazza della Navicella (a Roma, la chiesa è chiamata anche S. Maria alla Navicella), così chiamata per la fontana a forma di nave romana che la decora: si tratta di una scultura del 1513 sulla falsariga di un antico ex voto in marmo che si trovava precedentemente sul posto. Secondo un'antica leggenda la navicella fu rinvenuta nei pressi del Colosseo e si tratterebbe di un ex voto dedicato a Iside, la protettrice dei naviganti: appare assai incerto se la navicella fu soltanto restaurata o interamente realizzata ex novo da Andrea Sansovino a causa dei gravi danni dell'originale. La realizzazione fu voluta da papa Leone X Medici, del quale il piccolo monumento reca ancora gli stemmi sulle facciate del basamento. La sistemazione attuale risale soltanto al 1931, quando la navicella, collocata originariamente in una diversa posizione, fu trasformata in fontana alimentata dall'Acqua Felice.
La chiesa, prospiciente la fontana, è un'antica diaconia, probabilmente esistente fina dal VII secolo, e fu costruita nell'aspetto che ancor oggi conserva in parte agli inizi del IX secolo da Pasquale I, secondo un'antica tradizione, sulla casa di Santa Ciriaca, ma più verosimilmente sui resti di un antico edificio pubblico del VII secolo, i praedia dominica, aree di pertinenza imperiale: ciò spiegherebbe anche l'appellativo "in domnica" arrivato fino a noi. Restauri di XV e XVI secolo hanno in parte alterato l’aspetto medievale della chiesa. L'elegante facciata rinascimentale in travertino, preceduta da un ampio portico, è del 1513 su disegno di Andrea Sansovino, edificata contestualmente all'erezione della "Navicella". L'interno è a tre navate, divise da diciotto colonne ornate da capitelli corinzi antichi. La navata centrale risulta particolarmente spaziosa e ariosa. I mosaici dell'arco trionfale e dell'abside rappresentano l'esempio meglio conservato della cosiddetta "rinascenza carolingia" a Roma. Si tratta di mosaici che, replicano l’impianto delle rappresentazioni classiche del IV secolo. L’utilizzo dei colori e la maggiore animazione dei personaggi rivelano quasi certamente il contributo di maestranze locali istruite da artisti bizantini. Nell’arcata dell’abside si vedono Cristo tra angeli e apostoli e, sotto, Mosè ed Elia; nel catino Maria in trono col Bambino tra gli angeli e Papa Pasquale I (committente del mosaico) in ginocchio.
Villa Celimontana
In via della Navicella, c'è l’ingresso a Villa Celimontana, realizzata nel XVI secolo dalla famiglia Mattei. In passato la sua fama era grande non solo per la bellezza del luogo, ma anche per un’usanza diffusa da San Filippo Neri a partire dal 1552: durante il pellegrinaggio alle sette basiliche giubilari, era infatti consuetudine sostare nella villa dove la famiglia Mattei offriva ai fedeli una merenda. La villa rimase ai Mattei fino all'estinzione della casata avvenuta nel 1801 e dopo vari passaggi di proprietà pervenne al barone bavarese Riccardo Hoffmann. Lo Stato Italiano la confiscò a quest'ultimo proprietario a seguito della guerra 1915-18 come bene appartenente all’ex nemico. Dal 1926 è proprietà del comune di Roma, ed è parco pubblico dal 1928.
Una lapide posta alla sinistra dell'ingresso della Villa ricorda che il portale, già ingresso della Villa Massimo al Laterano demolito nel 1885 donato alla Città di Roma dalla Famiglia Lancellotti , venne qui ricostruito e restaurato dal Governatorato di Roma nel 1931. Il portale è costituito da una porta bugnata, decorata con due cariatidi e uno stemma del Comune di Roma, sormontata da un attico con balaustrata e finestre. L’edificio principale della villa, oggi sede della Società Geografica Italiana, è ornato da affreschi del XVII secolo e da mosaici romani rinvenuti nella zona. A sinistra della costruzione, si trova un obelisco dell’epoca del faraone Ramses II (XIII-XII secolo a.C.). L’obelisco, rinvenuto sul Campidoglio, fu donato dal Comune di Roma a Ciriaco Mattei nel 1582 ed ebbe la peculiarità di essere l’unico obelisco presente in una collezione privata. Percorrendo verso destra viale Spellman si incontra un tempietto neogotico sistemato nel giardino quando la villa era di proprietà del barone bavarese Riccardo Hoffmann. Ritornando indietro di fronte all’edificio della villa un viale di lecci conduce al Belvedere sul Semenzaio di San Sisto con una vista panoramica della Valle delle Camenee e delle Terme di Caracalla.
Una lapide posta alla sinistra dell'ingresso della Villa ricorda che il portale, già ingresso della Villa Massimo al Laterano demolito nel 1885 donato alla Città di Roma dalla Famiglia Lancellotti , venne qui ricostruito e restaurato dal Governatorato di Roma nel 1931. Il portale è costituito da una porta bugnata, decorata con due cariatidi e uno stemma del Comune di Roma, sormontata da un attico con balaustrata e finestre. L’edificio principale della villa, oggi sede della Società Geografica Italiana, è ornato da affreschi del XVII secolo e da mosaici romani rinvenuti nella zona. A sinistra della costruzione, si trova un obelisco dell’epoca del faraone Ramses II (XIII-XII secolo a.C.). L’obelisco, rinvenuto sul Campidoglio, fu donato dal Comune di Roma a Ciriaco Mattei nel 1582 ed ebbe la peculiarità di essere l’unico obelisco presente in una collezione privata. Percorrendo verso destra viale Spellman si incontra un tempietto neogotico sistemato nel giardino quando la villa era di proprietà del barone bavarese Riccardo Hoffmann. Ritornando indietro di fronte all’edificio della villa un viale di lecci conduce al Belvedere sul Semenzaio di San Sisto con una vista panoramica della Valle delle Camenee e delle Terme di Caracalla.
Villa Mattei e il pellegrinaggio alle Sette Chiese
La famiglia Mattei, con grande magnanimità, aveva concesso l'apertura del suo giardino al popolo romano, almeno una volta all'anno, in occasione del pellegrinaggio alle Sette Chiese istituito da San Filippo Neri: i fedeli infatti, a metà del percorso, avevano la possibilità di sostare a Villa Mattei e di consumare una merenda offerta dai padri Filippini, che consisteva in una pagnotta, vino, un uovo, due fette di salame, un pezzo di formaggio e due mele per ciascuno. La predisposizione della Villa in quella circostanza richiedeva una grossa organizzazione, arrivando ad accogliere fino a 3500 persone.
Ss. Giovanni e Paolo al Celio
Uscendo dall’ingresso secondario di Villa Celimontana ci si immette in via di S. Paolo della Croce e quindi in piazza dei Ss. Giovanni e Paolo dove si trova l’omonima basilica. Questa sorge su di un gruppo di domus private, databili tra il I e il III secolo d.C., in una delle quali nel IV secolo fu adattato un luogo di culto cristiano in memoria dei martiri Giovanni e Paolo, due ufficiali romani vittime della persecuzione dell'imperatore Giuliano l'Apostata che nel 362 d.C. li fece uccidere e seppellire nella loro stessa casa. Il luogo divenne così meta di pellegrinaggio e venerato come luogo sacro tanto che intorno al 400 fu eretta una grande basilica ad aula absidale, tripartita da colonne e con facciata aperta su due ordini di arcate. La basilica non ebbe vita facile: saccheggiata e distrutta dai Visigoti nel 410, colpita da un terremoto nel 442, saccheggiata e nuovamente distrutta dai Normanni nel 1084, fu sempre restaurata fino al XII secolo quando numerosi interventi la ripristinarono costruendo il convento, il campanile ed il portico antistante la chiesa, mentre nel 1216 il cardinale Savelli, poi papa Onorio III, creò la galleria sopra il portico e arredò riccamente la chiesa. Successivamente subì svariate trasformazioni interne ed esterne fino ai lavori di metà Novecento, voluti e finanziati dal cardinale Spellman, arcivescovo di New York, che ripristinarono l’antica facciata, il portico e il campanile paleocristiano. All'interno vi sono conservati notevoli affreschi, come quello del 1255 rappresentante Cristo in trono fra sei apostoli o Cristo in gloria del Pomarancio, mentre presso l'altare maggiore vi sono conservate le reliquie dei due martiri all'interno di un'antica vasca in porfido. A destra della chiesa si trova il convento degli inizi del XII secolo, situato, come la base del campanile romanico sulle fondazioni del Tempio di Claudio. Il campanile venne eretto in due fasi: nella prima metà del XII secolo i primi due piani e nella seconda metà del XIII secolo gli ultimi cinque, in occasione della quale la superficie in laterizio del campanile fu decorata con dischi di porfido e serpentino e piatti di carattere moresco-bizantino. La cella campanaria custodisce tre campane, una del 1580, una del 1714 e una del 1849. In piazza Ss. Giovanni e Paolo sono presenti i resti del Tempio del Divo Claudio, voluto dalla moglie Agrippina per celebrare la divinizzazione post mortem dell'imperatore. Trasformato da Nerone in un ninfeo monumentale nel grande parco della Domus Aurea, fu poi ripristinato da Vespasiano. Sui resti del tempio sorgerà il convento dei Ss. Giovanni e Paolo.
Clivo di Scauro
La via conserva l'antico nome originario, Clivus Scauri, con un percorso che ricalca perfettamente quello antico, come testimoniato da fonti medioevali a partire dall'VIII secolo, ma anche da un'iscrizione imperiale. La via, che ha conservato nell'insieme il suo aspetto assunto nella tarda età imperiale, è affiancata, lungo la parete adiacente alla Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, dalla facciata di un'antica insula del II secolo d.C., ossia un'abitazione con portico e botteghe al pianterreno e appartamenti ai piani superiori, come si può dedurre dalle due file di finestre che si affacciano sulla via. Sul lato meridionale vi era una grande costruzione in laterizio databile agli inizi del III secolo d.C. di cui però rimane solamente una parte del piano terreno formato da una fila di botteghe situate dietro un porticato. Scendendo lungo il clivo e superati gli archi di sostegno che scavalcano la strada, sulla sinistra sono visibili i resti di una grande aula absidata a pianta basilicale databile intorno al IV - V secolo d.C. che secondo alcuni studiosi dovrebbe trattarsi della biblioteca fondata dal papa Agapito nel V secolo.
Oratori e antiche credenze
Vari ruderi sono sparsi nella zona circostante la chiesa: frammenti di transenne romaniche, di pavimento cosmatesco, lapidi sepolcrali, capitelli e infine anche le tre piccole cappelle di S. Silvia, S. Barbara e S. Andrea: quest'ultima, è l'oratorio primitivo del monastero fondato dal santo. La cappella di S. Barbara, dal punto di vista storiografico, è molto importante, perché contiene "il Triclinio", la tavola di marmo sulla quale San Gregorio serviva personalmente il pranzo a dodici poveri. Si racconta che un giorno, però, sia apparso un tredicesimo commensale: si trattava di un angelo, al quale Gregorio servì ugualmente il pranzo. Dal fatto miracoloso discende, si dice, la superstizione dell'evitare di essere tredici a tavola: in origine, lo si fece per rispetto religioso all'angelo, non volendo ripetere ciò che era accaduto per origine divina, ma, in seguito, la cosa prese significato di malocchio e sfortuna.
S. Gregorio Magno
Alla fine del Clivo di Scauro si arriva a piazza di S. Gregorio dove si trova la chiesa di S.Gregorio Magno, un elegante esempio del Seicento romano. La sua fondazione, risalente al 575 d.C. è dovuta allo stesso San Gregorio, che trasformò la sua casa di famiglia, che qui sorgeva, in un monastero. La chiesa fu ricostruita nel Medioevo e restaurata nel 1633 da G.B. Soria, quando il cardinale Scipione Borghese promosse la costruzione della facciata e quella del portico nell'atrio. L'aspetto attuale lo si deve ai restauri del 1725 operata dall'architetto Ferrari. La chiesa è raggiungibile tramite una scalinata; l'interno, ha in fondo alla navata laterale destra, la cappella di San Gregorio e, accanto, un'altra piccola cappella, che dovrebbe essere stata la cella del santo, in cui si trova il suo seggio episcopale in marmo. Dalla sommità della scalinata si ha una bella vista panoramica sul Palatino.
San Gregorio al Celio è una delle chiese più venerate dal popolo romano e il suo nome ricorre anche in due modi di dire tradizionali che vale la pena citare:
San Gregorio al Celio è una delle chiese più venerate dal popolo romano e il suo nome ricorre anche in due modi di dire tradizionali che vale la pena citare:
So' finite le messe a San Gregorio.
Usata anche come proverbio, l'espressione significa: "Non c'è altro da fare, la pacchia è finita". Secondo l'ipotesi più accreditata, il modo di dire deriva dal privilegio di età remota concesso alla Chiesa di San Gregorio di dire messa un'ora dopo mezzogiorno, per consentire ai ritardatari di prendervi parte. Dopo quella, non c'erano altre messe.
Cantà le messe a San Gregorio.
Vuol dire: "Risolvere tutto pagando un sovrapprezzo" e fa riferimento alla famosa messa gregoriana che, grazie alle speciali indulgenze, aveva il potere di liberare l'anima del defunto dal Purgatorio e di inviarla direttamente in Paradiso. Per tale ragione, le messe di suffragio che venivano celebrate sull'altare di San Gregorio costavano il doppio di quelle comuni.
Il parco archeologico
Lungo via del Parco del Celio si colloca la “Passeggiata Pubblica” del Celio, un’area archeologica creata dopo il 1870, quando i lavori per le infrastrutture e i nuovi quartieri abitativi per adeguare Roma al ruolo di Capitale d'Italia, portarono a straordinarie scoperte ed al recupero di un immenso patrimonio di reperti relativi alla città antica. L'ingente quantità di materiale di scavo fu sistemata quindi inizialmente nel Magazzino al Celio, aperto agli studiosi ed al pubblico fin dal 1894. Agli inizi del Novecento, il trasferimento di tutte le maggiori opere di scultura ai Musei Capitolini portò alla ristrutturazione del Magazzino, aperto con il nome di Antiquarium nel 1929 e destinato all'esposizione delle cosiddette arti minori. Lesionato dagli scavi per il passaggio della metropolitana, l'edificio fu sgombrato dopo soli dieci anni ed il materiale fu in parte trasferito in vari magazzini, in parte lasciato nell'area esterna dell'ex museo e dell’adiacente Casino Salvi.
L'antiquarium comunale è ormai un edificio praticamente abbandonato mentre il Casino Salvi, costruito nel 1835, contiene una ingente raccolta di materiale archeologico, che costituisce una ricca documentazione della vita quotidiana a Roma dal VI sec. a.C. attraverso suppellettili, arredi domestici, piccoli oggetti per la casa. Al momento il Casino Salvi non è accessibile al pubblico.
L'antiquarium comunale è ormai un edificio praticamente abbandonato mentre il Casino Salvi, costruito nel 1835, contiene una ingente raccolta di materiale archeologico, che costituisce una ricca documentazione della vita quotidiana a Roma dal VI sec. a.C. attraverso suppellettili, arredi domestici, piccoli oggetti per la casa. Al momento il Casino Salvi non è accessibile al pubblico.
.... e per finire....il monumento simbolo di Roma
Alla fine di via del Parco del Celio c'è una sorta di piazzale con una panoramica che va dal Palatino fino all'Arco di Costantino e al Colosseo. L'Anfiteatro Flavio, comunemente noto come Colosseo (nome che risale al Medioevo, da "colosseus", "colossale", in riferimento ad una statua di Nerone, ivi presente), è il più importante e grande monumento dell'antica Roma, iniziato da Vespasiano nel 72 e terminato dal figlio Tito nell’80. E' posto nella valle tra Palatino, Esquilino e Celio, in un area che aveva fatto parte della Domus Aurea neroniana. Lo scopo dell'anfiteatro era quello di ospitare spettacoli come i combattimenti dei gladiatori e nel tardo Impero esso venne adibito a "venationes", caccie di belve feroci; solo nell'anno 404 per decreto di Onorio furono aboliti i scontri tra gladiatori e nel VI secolo d. C. gli spettacoli con animali. L'Anfiteatro ha la forma di un ellisse avente un asse maggiore di 188 m, asse minore di 156 m, circonferenza di 527 m., altezza di 50 m.; poteva ospitare fino a 70.000 spettatori. I terremoti del 442, del 508 e soprattutto nell'851 causarono distruzioni e la caduta di due ordini di arcate. Nel Medioevo fu trasformato in fortezza dai Frangipane e poiché era interamente rivestito di marmi, venne sfruttato per poterne utilizzare i materiali per la costruzione di nuovi monumenti. Venne più volte restaurato dai Papi Pio VII, Leone XII, Gregorio XVI e Benedetto XIV, che nel 1749 sancì il divieto di effettuare ulteriori spoliazioni al monumento. Molte leggende sono sorte intorno al Colosseo ed è celebre quella del Venerabile Beda (VII-VIII secolo) che disse: "finché starà il Colosseo starà Roma. Quando cadrà il Colosseo finirà anche Roma. Ma quando finirà Roma finirà anche il mondo".
Fra tutti gli archi trionfali dell'antica Roma, quello di Costantino è senza dubbio quello meglio conservato e fu eretto nel 315 per celebrare la vittoria di Costantino su Massenzio a ponte Milvio. Innalzato sulla strada abitualmente percorsa dai trionfi, nel tratto compreso tra il Circo Massimo e l’Arco di Tito, l’arco fu realizzato riutilizzando in parte sculture ed elementi architettonici sottratti a monumenti più antichi, appartenuti alle età di Traiano, Adriano e Marco Aurelio. E’ probabilmente da considerarsi come il primo esempio di quel sistematico riuso del materiale di spoglio che a Roma durerà per tutto il medioevo e al tempo stesso rappresenta una preziosa sintesi di oltre due secoli di arte ufficiale romana.
.Fra tutti gli archi trionfali dell'antica Roma, quello di Costantino è senza dubbio quello meglio conservato e fu eretto nel 315 per celebrare la vittoria di Costantino su Massenzio a ponte Milvio. Innalzato sulla strada abitualmente percorsa dai trionfi, nel tratto compreso tra il Circo Massimo e l’Arco di Tito, l’arco fu realizzato riutilizzando in parte sculture ed elementi architettonici sottratti a monumenti più antichi, appartenuti alle età di Traiano, Adriano e Marco Aurelio. E’ probabilmente da considerarsi come il primo esempio di quel sistematico riuso del materiale di spoglio che a Roma durerà per tutto il medioevo e al tempo stesso rappresenta una preziosa sintesi di oltre due secoli di arte ufficiale romana.
ricordo della passeggiata
facce da passeggiata
foto di gruppo di Angela, Sossio, Renato e Dario
© Sergio Natalizia - 2015