la Villa dei Quintili
le mie passeggiate
la Villa dei Quintili
con Santina, Annalucia e Pio, Maria Grazia e Bruno, Filippo e Mauro
07 giugno 2009
Era una villa immensa, la più vasta fra tutte quelle del suburbio romano dopo villa Adriana. Era così grande e le rovine così estese, che nei secoli scorsi si pensava che qui fosse esistita addirittura una città, alla quale si dava il nome di "Roma Vecchia". Si tratta invece dei resti della proprietà di due ricchi fratelli, Sesto Quintiliano Condiano e Sesto Quintiliano Valeriano Massimo, da cui il nome di Villa dei Quintili. Il complesso monumentale, che fa parte del Parco archeologico dell'Appia Antica, si affaccia a terrazze sulla campagna romana ed offre un panorama che ha ispirato nel tempo molti celebri artisti: infatti la Villa nell’800 ispirò spesso quadri e stampe anche perchè i grandiosi ruderi esercitavano una romantica suggestione sui visitatori stranieri e divennero parte della iconografia dell’antica Roma.
Roma vecchia-incisioni di Luigi Rossini (1839)
la storia
La Villa si estende tra l’Appia Antica e l’Appia Nuova all’altezza del V miglio della "Regina Viarum", proprio dove gli antichi ritenevano fosse avvenuto, al tempo del re Tullo Ostilio, il leggendario scontro fra gli Orazi e i Curiazi che valse a Roma la supremazia su Alba Longa. Era così grande e le rovine così estese, che nei secoli scorsi si pensava che qui fosse esistita addirittura una città, alla quale si dava il nome di "Roma Vecchia". Il complesso era poi stato chiamato fin dal quindicesimo secolo anche "Statuario", a causa delle statue che tornavano alla luce in grande quantità, ma soltanto nel 1828, dopo il ritrovamento di fistule plumbee con scritto: “Quintilii Condianus et Maximus”, fu appurato che il complesso era stata la proprietà dei fratelli Quintilii, appartenenti ad una famiglia senatoria di antica tradizione e vissuti alla fine del II sec. d.C.. I Quintili ricoprirono il consolato nel 151, sotto Antonino Pio, ed ebbero importanti incarichi in Grecia ed Asia sia al tempo di Antonino Pio che di Marco Aurelio. L’imperatore Commodo, avido delle loro proprietà, nel 182 li accusò di aver congiurato contro di lui e li mandò a morte, confiscando così tutti i loro beni, compresa la Villa sull’Appia. Qui l’imperatore amò soggiornare a lungo e fece eseguire numerosi lavori di ampliamento, trasformando la la villa in una vera reggia di campagna. Lo scrittore greco Olimpiodoro scrisse che "la villa conteneva tutto ciò che una città media può avere, compresi un ippodromo, fori, fontane e terme". Per Commodo la villa dell’Appia dovette certamente rappresentare il concretizzarsi delle sue passioni, con il maestoso complesso termale e l’arena personale. Alla morte di Commodo la struttura passò ai Severi e quindi ai Gordiani, che nel III sec d.C., modificano alcune strutture come si deduce dall'analisi dei bolli laterizi. La grande proprietà mantenne la funzione di villa imperiale, stando alla datazione dei restauri e ad iscrizioni e citazioni fino a tutto il III secolo. Il complesso rimase poi parzialmente in uso fino al VI secolo (sono stati ritrovati bolli laterizi dell'epoca di Teodorico), dopo di che andò progressivamente in rovina. Come per tutte le antiche proprietà imperiali, anche il fundus dei Quintili passò nei secoli in proprietà di varie istituzioni ecclesiastiche: nel X secolo lo troviamo citato nel patrimonio del monastero di Sant'Erasmo al Celio, poi, dal XII, in quello di Santa Maria Nova (oggi Santa Francesca romana). La tenuta passò poi (alla fine del Settecento) in proprietà dell'Ospedale del Santissimo Salvatore ad Sancta Santorum (oggi Ospedale di San Giovanni), e nel 1797 fu venduta dal Monte di Pietà, che gestiva i beni dell'Ospedale, a Giovanni Raimondo Torlonia.
gli scavi
Fino alla fine del Settecento, quando questi terreni facevano parte del patrimonio immobiliare ecclesiastico, erano i monasteri insediati nel luogo o, più tardi, direttamente la Camera Apostolica, ad autorizzare l'uso dei materiali disponibili o ritrovati in loco e gli eventuali scavi. In questo contesto è facile immaginare come l’area possa essere stata oggetto di spoliazione incessante, tanto che all’antico toponimo di “Roma Vecchia”, si sostituì quello di “Statuario”.
Di scavi finalizzati al ritrovamento di opere d'arte, autorizzati dalla Camera Apostolica, si ha notizia a partire da papa Clemente XIII (cioè da metà del Settecento): l'interesse principale dell'amministrazione pontificia per questi reperti era ancora di natura prevalentemente commerciale, per arricchire le collezioni private delle diverse autorità. Diverse campagne di scavo furono intraprese tra il 1783 e il 1792 per volontà di Pio VI, allo scopo di arricchire il Museo Pio-Clementino, fondato dal suo predecessore Clemente XIV. Tra le sculture più note rinvenute in questo periodo, attualmente conservate tra i Musei Vaticani, la Gliptoteca di Monaco, il Louvre e collezioni private, emergono in modo particolare la cosiddetta Venere Braschi, l'Apollo citaredo e due esecuzioni del Fanciullo con l'oca. Con il passaggio della tenuta ai Torlonia, nel 1797, furono ripresi scavi sistematici e tutti i ritrovamenti andarono ad arricchire la collezione privata della famiglia. Tra il 1828 e il 1829 gli scavi furono condotti da Antonio Nibby, concentrandoli attorno ai ruderi più evidenti, tra gli impianti termali e il cosiddetto Teatro marittimo. In occasione di questi scavi furono ritrovate le fistule di piombo con il nome dei Quintili, che permisero di attribuire con certezza la proprietà della villa. L'unità d'Italia diede nuovo impulso alla valorizzazione degli aspetti storico-archeologici dell’antica Roma. In questo contesto si procedette fra l'altro al ripristino del Ninfeo della Villa prospiciente l'Appia Antica, nell'aspetto che oggi presenta, attraverso le campagne di rilevamento condotte da Thomas Ashby tra il 1899 e il 1906. Durante gli anni Venti del Novecento furono fatte nuove scoperte, del tutto casuali: le grandi statue acefale di Apollo citaredo e di Artemide, oggi al Museo nazionale romano a Palazzo Massimo. Infine, dopo l’acquisto nel 1986 da parte dello Stato italiano, sono stati effettuati scavi più scientifici e moderni; attualmente la villa è attrezzata per le visite per un'estensione di circa 24 ettari, che comunque costituisce solo una parte dell'estensione originaria, visto che sono stati trovati dei nuclei anche nelle proprietà private confinanti con questa. La Soprintendenza Archeologica di Roma effettua scavi sistematici, che consentono di “leggere” la Villa in modo sempre più dettagliato e fruibile all’interesse dei visitatori. In un casale ai confini della Villa la soprintendenza ha aperto un Antiquarium che raccoglie reperti di grande interesse.
Di scavi finalizzati al ritrovamento di opere d'arte, autorizzati dalla Camera Apostolica, si ha notizia a partire da papa Clemente XIII (cioè da metà del Settecento): l'interesse principale dell'amministrazione pontificia per questi reperti era ancora di natura prevalentemente commerciale, per arricchire le collezioni private delle diverse autorità. Diverse campagne di scavo furono intraprese tra il 1783 e il 1792 per volontà di Pio VI, allo scopo di arricchire il Museo Pio-Clementino, fondato dal suo predecessore Clemente XIV. Tra le sculture più note rinvenute in questo periodo, attualmente conservate tra i Musei Vaticani, la Gliptoteca di Monaco, il Louvre e collezioni private, emergono in modo particolare la cosiddetta Venere Braschi, l'Apollo citaredo e due esecuzioni del Fanciullo con l'oca. Con il passaggio della tenuta ai Torlonia, nel 1797, furono ripresi scavi sistematici e tutti i ritrovamenti andarono ad arricchire la collezione privata della famiglia. Tra il 1828 e il 1829 gli scavi furono condotti da Antonio Nibby, concentrandoli attorno ai ruderi più evidenti, tra gli impianti termali e il cosiddetto Teatro marittimo. In occasione di questi scavi furono ritrovate le fistule di piombo con il nome dei Quintili, che permisero di attribuire con certezza la proprietà della villa. L'unità d'Italia diede nuovo impulso alla valorizzazione degli aspetti storico-archeologici dell’antica Roma. In questo contesto si procedette fra l'altro al ripristino del Ninfeo della Villa prospiciente l'Appia Antica, nell'aspetto che oggi presenta, attraverso le campagne di rilevamento condotte da Thomas Ashby tra il 1899 e il 1906. Durante gli anni Venti del Novecento furono fatte nuove scoperte, del tutto casuali: le grandi statue acefale di Apollo citaredo e di Artemide, oggi al Museo nazionale romano a Palazzo Massimo. Infine, dopo l’acquisto nel 1986 da parte dello Stato italiano, sono stati effettuati scavi più scientifici e moderni; attualmente la villa è attrezzata per le visite per un'estensione di circa 24 ettari, che comunque costituisce solo una parte dell'estensione originaria, visto che sono stati trovati dei nuclei anche nelle proprietà private confinanti con questa. La Soprintendenza Archeologica di Roma effettua scavi sistematici, che consentono di “leggere” la Villa in modo sempre più dettagliato e fruibile all’interesse dei visitatori. In un casale ai confini della Villa la soprintendenza ha aperto un Antiquarium che raccoglie reperti di grande interesse.
la visita
Il complesso appare alquanto articolato, con molti ambienti di varia destinazione: era dotato del corredo caratteristico delle maggiori ville romane dell’epoca; poi un articolato sistema di condotti e cisterne garantiva l’approvvigionamento idrico dall’acquedotto principale agli ambienti della Villa, residenziali e termali, permettendo così anche il riscaldamento.
Esaminando i resti attuali della villa, vi si notano due fasi costruttive: una, in opera laterizia, relativa al periodo in cui appartenne ai Quintili, cioè intorno al 150 e, l'altra, in opera listata, relativa al periodo dei rifacimenti e aggiunte operate da Commodo quando divenne la sua residenza imperiale. Nel complesso è possibile distinguere cinque nuclei diversi, estesi su un terreno ondulato di circa 1000 mq compreso tra l’Appia Antica e l'Appia Nuova: partendo dall’ingresso principale sull’Appia Nuova (da sottolineare che l’ingresso principale originario era situato sull’Appia Antica) due ambienti termali, un nucleo residenziale, uno stadio, un giardino ad ippodromo ed un grande ninfeo a ridosso dell’Appia Antica.
Esaminando i resti attuali della villa, vi si notano due fasi costruttive: una, in opera laterizia, relativa al periodo in cui appartenne ai Quintili, cioè intorno al 150 e, l'altra, in opera listata, relativa al periodo dei rifacimenti e aggiunte operate da Commodo quando divenne la sua residenza imperiale. Nel complesso è possibile distinguere cinque nuclei diversi, estesi su un terreno ondulato di circa 1000 mq compreso tra l’Appia Antica e l'Appia Nuova: partendo dall’ingresso principale sull’Appia Nuova (da sottolineare che l’ingresso principale originario era situato sull’Appia Antica) due ambienti termali, un nucleo residenziale, uno stadio, un giardino ad ippodromo ed un grande ninfeo a ridosso dell’Appia Antica.
l'area delle terme
Al di là del giardino, verso nord, alcuni grandiosi ambienti facevano parte del complesso delle terme: un'aula rettangolare, con pareti aperte da finestroni su due piani e una piscina al centro, originariamente rivestita di marmo; una grande sala rotonda probabilmente scoperta ed adibita a piscina. Il complesso termale era costituito da ambienti disposti su due livelli, di cui facevano parte due grandi aule di cui i recenti scavi hanno rivelato la destinazione. In una era sistemato il calidario, occupato quasi interamente dalla vasca per i bagni caldi, nella quale si entrava per una completa immersione dai gradini disposti su tre lati. Si conservano i vani dove l’acqua veniva scaldata e da cui partiva un sistema di rialzamento della pavimentazione con file di mattoncini, per permettere all’aria calda di circolare nell’intercapedine così ottenuta. Nell’altro ambiente era sistemato il frigidario, composto da una grande sala centrale alla quale si allineavano, sui lati corti, due vasche per i bagni freddi, che mostrano ancora il sistema di immissione e scarico delle acque. E’ l’ambiente più riccamente decorato, quello da cui provengono statue e rilievi oggi conservati in vari musei, ma principalmente nella Collezione Torlonia. Conserva ancora il pregiato pavimento in lastre di marmi policromi orientali, che giaceva nascosto sotto oltre 80 metri cubi di terra. Sempre nel contesto delle terme si trova il cosiddetto "Teatro marittimo", a pianta ellittica, che mostra una certa somiglianza con l’omonimo ambiente della Villa Adriana a Tivoli: costituiva un un luogo tranquillo dove riposarsi dopo i bagni nelle terme. Lo spazio interno infatti forse ospitava un piccolo giardino e qui probabilmente sotto un colonnato si passeggiava godendo della vista verso Roma ed i colli Albani.
Le residenze
La zona residenziale si affacciava su un grande cortile rettangolare, pavimentato con lastre di marmi colorati così come anche le pareti e i pavimenti, mentre pitture e stucchi decoravano le volte e la parte superiore degli ambienti. Tutte le stanze del complesso erano dotate di un vero e proprio sistema di riscaldamento tramite tubi di terracotta, inseriti nelle pareti, all'interno dei quali veniva fatta passare l'aria preriscaldata. Gli ospiti erano accolti in un’ampia sala ottagonale per i banchetti, dove si possono ancora riconoscere parte del sistema di riscaldamento pavimentale, un monumentale ninfeo ed un criptoportico. Gli appartamenti padronali sono divisi in una parte privata con le stanze da letto (i cubicola) e in una parte più di rappresentanza, dove si tenevano i festini con gli ospiti. Questa parte della villa dovrebbe risalire alla prima metà del II sec. d.C. (I fase edilizia).
La cisterna, lo stadio, il giardino ad ippodromo
Nel lato volto ad occidente si trova una cisterna circolare, a due piani, sulla quale fu edificato nel Medioevo il Casale di Santa Maria Nuova, seguito da un massiccio nucleo cementizio di un sepolcro a forma di piramide che, per la ricchezza dei frammenti di sculture ed elementi di decorazione architettonica rinvenuti, viene attribuito proprio ai due fratelli Quintili. Sul versante orientale, si estendeva un secondo giardino a forma di circo, lungo circa 400 m e largo tra i 90 e i 115 m.; uno stadio-arena che sembra fosse nata, come testimoniano anche gli scavi intrapresi, proprio per volontà di Commodo, imperatore amante degli spettacoli gladiatori e solo successivamente trasformata dopo la sua morte. Il grande spazio che arriva fino all’Appia Antica vi è un prato che doveva essere un ippodromo, di forma analoga a quella del Circo Massimo destinato a rallegrare, con animate gare, la vita degli abitanti della Villa. In realtà non doveva trattarsi di un vero e proprio ippodromo ma più che altro di un giardino a forma di ippodromo che doveva avere sui lati probabilmente le statue, sistemato a viali alberati con fontane.
Il Ninfeo
Il grande ninfeo a due piani costituiva l’ingresso vero e proprio della villa: da qui attraverso il portone situato tra due colonne si entrava nel parco dove attraverso diversi viali si arrivava alla villa in senso stretto. Era formato da un'ampia esedra semicircolare, con una nicchia sul fondo e una grande fontana al centro. Il pavimento, di cui restano tracce, era in mosaico bianco a grosse tessere. Il ninfeo era fiancheggiato da due sale termali con zampilli d'acqua e marmi pregiati, nicchie e colonnato. Davanti alcune colonne formavano un "propileo", di cui rimane la colonna accanto all'ingresso attuale e un pilastrino; quindi l'ingresso era costituito da tre passaggi monumentali che portavano al ninfeo; il tutto era rivestito di marmi, con statue e decorazioni varie. Tra terme e ninfeo la villa aveva proprio bisogno di tanta acqua ed infatti era alimentata da un acquedotto privato le cui arcate si vedono bene percorrendo l'Appia Nuova subito prima del Grande Raccordo Anulare. L'acqua era derivata dall'Acquedotto Marcio, e delle grandi cisterne dentro la villa formavano una riserva.
L'Antiquarium
In un ampio locale precedentemente adibito a stalla, situato in un casale accanto all'attuale ingresso della villa sulla via Appia Nuova, è stato allestito un Antiquarium, dove vi sono conservati i reperti ritrovati a partire dall’inizio del Novecento, quando la proprietà apparteneva ai Torlonia (che l’avevano acquistata nel 1797), e quelli rinvenuti alla fine degli anni Novanta, quando la villa era divenuta proprietà dello Stato (il passaggio è avvenuto nel 1985). La sala è dominata da una imponente statua di Zeus seduto su una roccia, risalente alla prima metà del II secolo d.C. e circondata da vetrine in cui sono esposte statuette provenienti dall'area di un santuario dedicato a divinità orientali e a Zeus Bronton (tuonante). Statue di Ercole, Niobe e ritratti, erme, rilievi, monete, frammenti di affreschi parietali e decorazioni architettoniche completano la piccola esposizione. E’ conservata anche una lastra di alabastro, evidentemente riutilizzata in epoca cristiana, che reca incisa la scritta IXTOYC. Le singole lettere che compongono questa parola, che in greco significa pesce, erano lette dai cristiani come le iniziali della frase”Gesù Cristo figlio di Dio, Salvatore”. La parte superiore della lastra, ora dispersa, conservava la scritta “liorum” ,interpretata nell’Ottocento come parte del nome dei Quintili. Nei secoli passati questo ritrovamento ha fatto erroneamente ritenere che i Quintili fossero cristiani e che per questo sarebbero stati uccisi da Commodo. Il resto dei ritrovamenti sono nei Musei Vaticani oppure sparsi in varie collezioni pubbliche e private, come quella della famiglia Torlonia.
© Sergio Natalizia - 2009